Egregio Dr. Paolo A. Colombo, abbiamo letto con interesse il suo intervento sul Corriere della Sera del 14.12.2011 intitolato “Superare gli egoismi europei guardando al federalismo USA”. La sua interpretazione della crisi dell’Eurozona, sebbene ceda in alcuni passaggi introduttivi alla lettura dominante che l’attribuisce all’”eccessiva deregulation ed alla globalizzazione dei mercati finanziari” ci è sembrata proporre una diversa lettura di fondo che, ponendo come esemplare l’azione del segretario del Tesoro USA Alexander Hamilton nel 1789, sposta l’attenzione sulla visione e lungimiranza politica come fattore determinante per la soluzione di crisi generalizzate. Lei ricorda come “l’integrazione economica dei singoli Stati, centralizzando presso lo Stato federale il debito pubblico e le principali funzioni di politica economica” fosse in realtà “un passo fondamentale nel processo di unificazione politica della nazione perché i detentori delle emittende obbligazioni avrebbero traslato il proprio senso di appartenenza dai rispettivi Stati al neonato governo federale”.
Aggiungiamo noi che questo processo costituente della nazione americana si concluse pienamente solo più tardi, in antitesi conflittuale con la allora potenza egemone, l’Inghilterra, e soprattutto, per il discorso che qui rileva, dopo aver sconfitto, anche attraverso una guerra civile, le resistenza interne dei “cotonieri”, portatori di un altro modello di sviluppo nazionale, meno conflittuale ed anzi complementare agli interessi inglesi.
Forse lei potrà convenire con noi che nel caso della crisi attuale dell’Eurozona non si tratta solo di rimproverare ai politici europei di non saper “anteporre l’interesse generale di costruire lo Stato unitario” (come fatto dai padri fondatori americani). Non si tratta cioè di scegliere fra solidaristi ed egoisti, ma di avere consapevolezza della necessità di costruire dalla base le premesse politiche necessarie per raggiungere uno status autonomo ed indipendente di un’Europa federale. Sapendo di doverlo fare nel contesto di una competizione crescente fra potenze di livello regionale e globale, in cui gli USA in particolare difendono la loro attuale egemonia con tutti i mezzi a loro disposizione che includono la leva finanziaria.
Una tale consapevolezza risulta altresì necessaria, a nostro parere, anche a livello di dirigenti d’imprese di livello continentale che dovrebbero gettare le basi per una strategia di sviluppo tendenzialmente al servizio della politica di integrazione politica europea. Una strategia che ovviamente deve partire dalla difesa dell’esistenza stessa delle grandi imprese nazionali (come ENEL, primario gruppo energetico italiano), nel momento in cui altre imprese italiane strategiche sono oggetto di attacchi, quando speculativi, quando giudiziari, o ambiguamente coperti da preoccupazioni ecologiste, tutti comunque convergenti nell’obiettivo sostanziale di indebolirle, farne merce di scambio sulla bilancia della crisi del debito sovrano italiano o addirittura farne spezzatino a favore dei concorrenti.
Siamo convinti che dietro l’ideologia della “messa a valore per gli azionisti” delle imprese italiane ci sia in realtà un disegno politico complessivo che mira a ritagliare per l’Italia un ruolo semi-coloniale che, eliminando o ridimensionando alcuni potenti strumenti per un’autonoma politica energetica ed industriale, ne perpetui senza sgarri la fedeltà politica all’attuale centro egemonico globale costituito dagli USA. Con Francia e Germania che aspirano tutt’al più, per quel che si è visto finora, a svolgere un ruolo di maggiordomi.
Questa politica americana, acceleratasi nei suoi effetti dopo l’insediamento dell’amministrazione del Presidente Obama, ha bisogno di consenso e finora lo ha trovato puntualmente all’interno della compagine industriale e finanziaria italiana dove alligna da tempo una massa di “cotonieri italiani” portatori di scarsa, se non nulla ormai, innovazione tecnologica, abbarbicati a produzioni della passata ondata di sviluppo industriale, auto-limitati ad assicurare la complementarietà dell’industria italiana a quella dei dominanti e dei sub-dominanti. I quali “cotonieri italiani”, non a caso, non prevedono alcuno sviluppo del settore energetico, se non nelle reti, una volta rese asservite ad altri interessi strategici (vedi la vicenda EDISON e la fatua enfasi giornalistica sulla futura aggregazione delle municipalizzate energetiche).
Qualora Lei condividesse anche una parte delle nostre considerazioni e preoccupazioni per il futuro destino dell’ENEL, ci aspettiamo che Lei prenda tutte le necessarie misure, precauzioni ed iniziative rientranti nelle sue funzioni e deleghe, per evitare che anche ENEL diventi preda di interessi anti-nazionali (magari con la scusa del suo elevato indebitamento). Senza trascurare iniziative in campo culturale e (perchè no?) politico tese a ricostruire un rinnovato punto di vista sovrano all’interno del dibattito sulle possibili soluzioni ai problemi del Paese che, lungi dal riproporre posizioni nazionalistiche o, peggio, autarchiche, aiuti però a re-inquadrare nel nuovo contesto globale, le questioni degli interessi strategici e delle alleanze internazionali necessarie per lo sviluppo dell’Italia nei prossimi anni.
Nel ringraziarla per l’attenzione, porgiamo
distinti saluti