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È giovane, bionda dorata, Carla si chiama, lo leggo dal cartellino appuntato sul camice arancione.
I frigoriferi del supermercato, ronzano insistentemente, alcuni ventilatori muovono un'aria densa, corposa, calda.
Carla, porta attorno al collo un foulard di seta, forse, a starsene tutto il giorno lì seduta con il ventilatore puntato contro, le viene il mal di gola o quell'uggiolina che porta alla raucedine.
Ha i capelli raccolti in una treccia, di quelle che andavano di moda alcuni anni fa.
Ha un viso pulito, onesto, leggermente incipriato, incorruttibile e sincero.
Occhi verdi, quel verde che rimanda alla mente le estati passate al fiume con gli amici. Occhi verdi come l'acqua di un torrente illuminato dal sole: sono però occhi tristi.
Sono occhi di una ragazza di vent'anni o giù di lì, ma non sono occhi che brillano di giovinezza, non sono affatto luminosi, sono spenti, sbiaditi.
Sono infatti occhi tristi, velati di malinconia, disillusi, delusi, avviliti e forse angosciati.
C'è sicuramente qualcosa che la tormenta.
Ha un viso netto, un naso preciso e lucido.
Il suo sguardo è fisso in un punto, non sorride.
Il computer della cassa non riconosce il codice del prodotto che ha tra le mani, lei storge il naso in segno di disappunto e tre piccole rughe si formano sopra di esso.
Il cliente davanti a me, è visibilmente impaziente, sicuramente annoiato dalla lentezza di Carla.
Mi chiedo il perché della sua tristezza, forse il ragazzo l'ha lasciata, forse è incita, forse sua madre è all'ospedale.
Saluta il cliente che mi precede con un “grazie e arrivederci” dal tono stanco.
Le sue labbra, sono sottili, leggermente rosee, non sono labbra rosse e carnose da baciare.
È il mio turno, alza lo sguardo e fa un cenno di saluto.
Ripongo nella borsa gli acquisti che ho fatto in questo caldo pomeriggio di Giugno: un sacchetto di “Fisherman's Friend” al mentolo ed eucalipto che ho poggiato sul nastro mentre osservavo Carla, tre Redbull, cinque pesche, una cassa di cedrata, pane, uova, carne, pizze surgelate, deodorante, balsamo alle erbe, dentifricio e zucchero di canna.
Pago con il bancomat.
Mi passa con flemma lo scontrino e mi restituisce il bancomat, vorrei annusarle quelle mani, quelle lunghe dita affusolate: sono sicuro che prima di andare a letto è una di quelle che impiastra le sue mani di Nivea.
La saluto senza sventolare il fazzoletto, senza dirle addio: domani tornerò al supermercato per vedere se la notte, le ha tolto la tristezza dagli occhi.
Continua...
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