ALA D’AQUILA SI STENDE di Giulio Viano
(Genovainedita cultura,2010)
Nota di lettura di Lucetta Frisa
Ci sono poeti – e sono rari – che pongono la percezione come centro radiante della loro poesia. Ci sono poeti attuali – intendo viventi oggi, giovani e meno giovani – che sono perfettamente inattuali. Per loro la visione è un impulso primario che li costringe a mettersi alla scrivania tentando di tradurla in versi. Peccano (si fa per dire) di raffinatezza. Peccano ( si fa sempre per dire) di leggerezza – non intesa come superficialità di senso ma come levità d’accento. Sanno creare un “mondo altro”, un altrove indefinibile che gravita nella sfera del mistico. Perché questi poeti sono suggestionati e guidati dall’Antico, dal Sacro, dal Mito, dalla Fiaba, dall’esoterismo, dalle antiche tradizioni, dalla magia. Non possono non essere evocativi, fascinosi, e usano il prezioso gioco delle allitterazioni per arricchire di senso il non-senso e di suono il silenzio e di silenzio il suono. Una suggestione linguistica che germina nel campo semantico, germinazione ritmica e sonora interna alla lingua stessa che ne riceve smalto e riverbero. Ma l’estasi che vogliono comunicarci non si cristallizza, è in continua metamorfosi come la vita stessa e chi da lei viene attraversato. Il lettore può rimanerne un po’ frastornato. Al termine del libro si chiede: ”Dove sono adesso? E dov’ero mentre leggevo?”.
L’exergo di questo primo libro di Giulio Viano, rievoca una visione di Hehaka Sapa (Alce nero), sciamano Lakota che dice: “Guarda bene colui che adesso è il tuo spirito, perché tu sei il suo corpo e il suo nome è Ala d’Aquila si Stende”. Da qui il titolo della breve raccolta.
Scrive Viano:
“Il ruolo di un essere umano?
Prendere appunti nell’aria vulcanica”.
Il poeta prende appunti, segnala, sottolinea,mette in luce. In fondo, non può fare altro. Se è invaso dalla bellezza della vita, dalla sua energia che in lui si commuta in energia desiderante, patirà l’impossibile aspirazione di “toccarne” il mistero sfuggente.
Nella sua poesia, però, un io ancora c’è e resiste, cerca di tenersi saldo. Non si è dissolto in questo universo impalpabile, anche se il corpo, che fascia o contiene provvisoriamente lo spirito, anela sempre al lontano da sé.
Il libro si suddivide in quattro sezioni. Le seguiamo come una sorta di viaggio iniziatico, e di ognuna, il poeta stesso ha operato una minima scelta:
ALBA IPOTETICA
Chi sei che bussi su capelli e occhi
con questa discrezione impercettibile
da formica incastonata nell’ambra
al limite dell’area percettiva?
Sei solo l’alba, dici?
A me sembravi seta
caduta dalla schiena della notte
per puro vanto prima di concederti
all’impeto solare, ma può darsi
che il dormiveglia mi abbia confuso
LUNA NUOVA
dorme nel nulla la Luna nuova
questa sera chiudi gli occhi, se vuoi
risplendi come
candele d’ambra
perse nella bufera
QUANDO SARAI
Sarebbe come voler abbracciare
l’Aurora Boreale
sapendo di dardi di ferro
Non ci si può concedere del tutto
a questa sera dallo sguardo rettile
planata come una manta di vento
Diffido di te, tigre
che accordi un’arpa come schierando
chilometri di artigli
Torna tra le metafore
materialìzzati quando sarai
TIAHUANACO
Tiahuanaco nata nella nebbia
tesa come un mantello sulla riva
di un lago detto Pietra del Giaguaro
resta a mezz’aria il suono
sopra i capelli delle montagne
pettinati dal tempo
un cielo inverosimile sorride
come sorriderebbe Viracocha
ferme nei muri creature estinte
un re piangente alla Porta del Sole
guardato da un gigante di granito
dal petto decorato di spirali
Tiahuanaco, muraglia di volti
antica geometria dimenticata
alta sull’eco non risponderai
Tiahuanaco, cigno di Atlantide
in una notte sei stata creata
ora e per sempre ti dissolverai
OMBRE CIMMERIE
Strano, ci si allontana dalla terra
tanto seguendo la radice, quanto
i rami che si lanciano nel cielo.
E quella linea
di separazione
che non si chiama né cielo, né terra,
quale ruolo le spetta?
Divisa fra divisione e contatto
come ogni confine,
sorregge ed è sorretta, e nel contempo
non esercita azione alcuna,
collo della clessidra.
Posizionato sulla scacchiera
sta l’uomo, sua alchimia
la scacchiera stessa.
E ci si sposta restando pedine,
pur camminando sopra la scacchiera,
mai paghi di alternare
bianco a nero,
senza mai realizzare la fusione
della variabile con la funzione:
non tanto del bianco col nero,
quanto dello scacco con la scacchiera.
Ogni cosa prende vita dall’essere
l’essere prende vita dal non-essere.
DA DOVE
fili di ragno tesi fra le mani
metalliche di un’elfa
senz’anima né volto
le gemme incenerite all’imbrunire
dal gelo esploso ieri
l’ora del sole rosso alle finestre
sui vetri irruviditi dalla brina
dimmi da dove viene tutto questo
e ti dirò da dove vengo io
DUNE
Spostare prospettive
Come scopo,
per sciogliere le spire del dolore.
Nessuno guarda il vento,
non ferma la sua marcia
né la mano che implora,né il viandante
già morto nel deserto,né colui
cge ancora protegge una stella.
Dune mosse dal tempo nello spazio
Sopra abissi di vortici, nel gelo
Di non poter più sentire la roccia
Sotto di sé,nonostante la luce
Transiti abcora negli occhi,
si esiste per esistere,in attesa
che la vita si sveli.
Dune spostate un tempo dall’anelito
Ai lati della strada, che prosegue
Tra bagliori di ferro.
Fuse sotto le ombra che si allungano,
distanze prive, almeno in apparenza,
di un termine,assegnate
come giocando a carte
da giocatori molto ben celati.
Linee di atterraggio o di decollo
antiche di millenni,senza suono,
rose dal sale,
mentre dall’alto un atomo
caduto al tramonto del Sole
delinea una retta infinita.
Ad occhi aperti di fronte alle pietre
Nonostante questa sabbia di vetro
Avanzare,cos’altro?
Qualcosa è morto,qualcos’altro vive.
FESTA DEL FUOCO
Dove volerà via questa piramide
dimora inafferrabile dei geni
dell’aria per il tempo di uno sguardo
quando il respiro serrato nel legno
si rigenererà in un’altra forma?
Mani di Luna, canti di fate
in tasca un biondo filo d’Arianna
cerchi di pietre, impronte bruciate
perché talvolta l’apparenza inganna
Notte bifronte, dove sono andate?
Dolci profili o gelide condanne,
dietro a un mantello celano l’Estate,
danzando allineate come zanne
impresse sulla retina del cuore
amano prendersi gioco di noi
norne che non conoscono dolore
(almeno quello che provate voi)
ma oggi è una notte di festa
non fate caso ai fiori recisi
guardatevi dagli occhi di ametista
torce fra invisibili sorrisi
GEROGLIFICI
Steli di vuoto tolti alla pietra
nomi di nulla, ormai
Re senza limiti, sangue di schiavi
la memoria dei giorni della Sfinge
già allora oltre le sfere del remoto
Prigionieri come insetti nell’ambra
profili in processione ancora tentano
di risuonare, schegge superstiti
Le ali stese del disco solare
l’arco tracciato da una dea di stelle
gli snelli fianchi delle danzatrici
farfalle sgretolate decifrandole
Giulio Viano è nato a Genova nel 1973. Laureato in Lingue e Letterature Straniere, lavora come traduttore. Nel 2010 ha esordito con la raccolta “Ala d’Aquila si Stende”, finalista segnalata per la sezione Libro d’esordio al concorso nazionale “Premio Fiera dell’Editoria di Poesia 2011”. Presente con letture performative a numerosi reading e festival di poesia, nel 2011 ha ricevuto il primo premio per la sezione Composizione poetica al concorso internazionale “Le Culture del Mediterraneo”.
Pubblicherà prossimamente la seconda raccolta, recentemente conclusa; ha inoltre pronta la traduzione di un grande classico del Romanticismo.