Magazine Cinema
(The broken circle breakdown)
di Felix Van Groeningen (Belgio, 2013)
con Johan Heldenbergh, Veerle Baetens, Nell Cattrysse
durata: 111 min.
★☆☆☆☆
Questione di sensibilità. Ci sono film che ti prendono alla gola, allo stomaco, a volte al cuore. Film che ti possono commuovere fino allo sfinimento oppure farti incazzare come pochi: dipende sempre da quanto il nostro animo è più o meno disposto a recepire certe storie (e naturalmente, sono il primo a riconoscerlo, dal proprio bagaglio personale di esperienza e vita vissuta). Premessa doverosa per dire che il sottoscritto rispetta, comprende e non inveisce contro chi ha profondamente amato Alabama Monroe (e sono in parecchi, da quello che sento in giro), ma allo stesso modo sostiene con forza il suo pensiero: questo è uno dei quei film che proprio non riesco a vedere, e che non riguarderò mai più in vita mia... perchè lo trovo tremendamente falso e ricattatorio, oggettivamente e soggettivamente tremendo. Chi si sente offeso da queste righe, senza rancore, può fermarsi qui a leggere. Per chi vuole continuare, invece, cercherò di spiegare il perchè.
Alabama Monroe è un film soggettivamente brutto perchè è pura e semplice speculazione del dolore. E' un film che pretende fin da subito di farti amare i suoi personaggi, incondizionatamente, e allo stesso modo ricattarti in modo bieco e spudorato quando le cose precipitano nel dramma. Non è un film che ti parla, che ti fa riflettere, è un atto di fede: lo spettatore è obbligato a commuoversi, non può fare altro, costretto a versare lacrime a comando e stimolato, in continuazione, da subdoli flashback che in ogni scena contrappongono brutalmente la Felicità degli inizi alla Disperazione del presente, quasi a dire 'al mondo non c'è scampo, la gioia è effimera, il dolore è ineluttabile...' ma siamo ben lontani dalla Melancholia vontrieriana, qui la concezione del dolore è di una banalità sconcertante: troppo facile infatti alternare sequenze di torridi amplessi e scatenati balli folk alle lugubri immagini ospedaliere, alla stregua del contrappasso dantesco: come se la felicità fosse una colpa, un peccato da espiare. Una logica agghiacciante.
Ma Alabama Monroe è anche un film oggettivamente furbo, e un tantinello già visto. La trama infatti è praticamente identica a quella di un bel lungometraggio francese di un paio d'anni fa: si chiamava La guerra è dichiarata (vedere qui la recensione dell'epoca) e, a parte le location fiamminghe e la colonna sonora country, Alabama Monroe ne è praticamente la fotocopia: racconta la storia di una giovane coppia (cantante bohemien lui, tatuatrice tatuata lei, entrambi devoti alla musica bluegrass) che mettono al mondo una bambina destinata ad ammalarsi dopo pochi anni di leucemia... stessa vicenda ma svolgimento profondamente diverso, per stile e contenuti: mentre il film francese (superiore da ogni punto di vista) si concentra infatti sulla lotta alla malattia e sulla volontà di reagire, di non darla vinta alla morte, adottando un registro nient'affatto pietistico ma, al contrario, portatore di un messaggio dichiaratamente positivo, il film di Van Groeningen preferisce raccontare il disfacimento del rapporto di coppia dei due genitori in seguito al dramma che li ha colpiti: più che 'Una storia d'amore' (come recita il maldestro sottotitolo italiano) è la fine di un amore, narrato nel modo più edulcorato e lacrimevole possibile, melodrammatico fino alla stucchevolezza.
Non bastano le notevoli prove dei due attori protagonisti e il grande lavoro sulla colonna sonora, da vero e proprio musical, a salvare un film confusionario e privo di ogni senso della misura. Alabama Monroe è un calderone di luoghi comuni e senza alcun approfondimento serio sui temi che tratta: la delirante, grezza e confusissima propaganda pro-staminali urlata nel finale del padre della bambina, più che una denuncia sembra il sermone di un invasato: piacerà a chi cerca lacrime facili, ma lo trovo profondamente irrispettoso del dramma. Quello vero.
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