Il noto scrittore, giornalista ed editorialista inglese (anche se nato in Svizzera) Alain de Botton ha scritto recentemente un articolo per il “Sole 24 ore”. Ha voluto parlare della sua posizione esistenziale di non credente ma religioso, cristiano dal punto di vista culturale.
Egli racconta di essere stato “forzato” all’ateismo dalla sua famiglia fin da quando era piccolo, come troppo spesso accade: «Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Mio padre era riuscito a far piangere mia sorella quando aveva tentato di estirpare dalla sua mente l’idea, nemmeno troppo radicata, che da qualche parte dell’universo si nascondesse un dio solitario. Aveva otto anni, a quell’epoca. Se i miei scoprivano che qualcuno, nella loro cerchia di conoscenze, covava segretamente un sentimento religioso, cominciavano a trattarlo con la commiserazione che in genere si riserva a chi soffre di una malattia degenerativa. Da quel momento, per loro, era impensabile ricominciare a prenderlo sul serio».
Maturando il suo ateismo è però andato in crisi, venendo tormentato dai dubbi, affiorati la prima volta ascoltando Bach. La conversione non è avvenuta, tuttavia ha capito che «dopo aver perso tutta una serie di pratiche e tradizioni che gli atei trovano insopportabili perché di quello che Nietzsche definiva “il cattivo odore della religione”, la società laica si è ingiustamente impoverita. Ormai il termine «moralità» ci fa paura, e al pensiero di ascoltare un sermone preferiamo darcela a gambe». Si è così voluto avvicinare al cristianesimo, alla cultura, all’arte, alla musica, ai riti cristiani, rimanendo però non credente.