Alain Fleischer è un caso contemporaneo di artista totale: fotografo, scrittore, regista e direttore de Le Fresnoy, singolare laboratorio delle arti che si è posto in un lungo confronto col cinema. Fleischer ha saputo contemplare le ragioni della specificità delle discipline artistiche in un processo olistico di acquisizione assoluta e di contaminazione fatale: nel suo percorso, lo spirito euristico del documentario non ha mai abdicato al fascino elegiaco, né lo sperimentalismo ha assunto le sembianze di un rito della forma pura; in ciò, la complicità della scrittura ha costituito l’eco generativa delle cose e il dominio consapevole dei dispositivi della finzione.
Fleischer ha eretto un corpus concettuale sul minimalismo come ragione ontologica del pensiero e delle sue rappresentazioni, impiegando entro termini criticamente raffinati i principi dell’ossessione e della coazione a ripetere. Nella serialità come momento organico del postmodernismo il suo cinema si è compiuto nella rappresentazione della distopia come horror vacui del quotidiano, intervenendo con folle rigore nell’opera di trasfigurazione di quel dispositivo rituale e mitico che è la ragione prodromica del simulacro. La riconduzione al monismo della dialettica delle arti si realizza così nella tecnica suggestiva del messaggio seriale, quel desiderio insano per il rito come luogo del principio di quell’esistenza che si dà per effetto di svuotamento e consunzione psicologica. In fondo, la ragione della moltiplicazione si attesta sempre alle origini dell’unico come dimensione ossessiva.
Fleischer non ha mai filmato gli usi, il palinsesto delle azioni umane rubricate dal codice comportamentale: nel suo cinema nulla aderisce al codice. La cerimonia visibilissima delle sequenze delle sue opere racconta ossessivamente un catalogo di idee in intimità, di concetti in azione; allievo di Claude Lévi-Strauss, Fleischer applica l’etnologia dello sguardo ai nuovi selvaggi della modernità, gli abitatori della metropoli. Nessun ornamento pletorico, nessun dramma esasperato: della monotonia delle azioni seriali il cineasta coglie gli oscuri avvicendamenti interiori dei suoi personaggi. Scrive Fleischer: “È quando ogni drammatizzazione psicologica è assente che l’oscurità appare nelle sue cerimonie più segrete”.
Beniamino Biondi