SEDUTI
Monologo
di ALAN BENNETT
L’undicesimo verso del ventisettesimo capitolo del libro della Genesi dice: «Ma mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia». Dunque: «Mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia». Posso parafrasarvelo, dicendovi la stessa cosa in un altro modo, citandovi, ad esempio, le parole del venerabile profeta Neemia – Neemia 7.16:
Ed Egli mi chiese che cosa vedevo,
Ed io gli risposi:
I figli di Bebai: seicentoventotto
I figli di Azgad: duemilatrecentoventidue.
(Ripetuto più veloce).
I figli di Bebai: seicentoventotto
I figli di Azgad: duemilatrecentoventidue.
Ci sono momenti, nella vita di ciascuno di noi, in cui ci allontaniamo dai nostri simili e cerchiamo la solitudine e la tranquillità dei nostri focolari. Momenti in cui ci rilassiamo e ci infiliamo le pantofole, ci sediamo e fissiamo il fuoco. Mi chiedo se in momenti simili i vostri pensieri vanno, come i miei, alle parole che vi ho appena letto.
Sono parole così uniche e così speciali, parole che esprimono, come poche altre, quel senso di vuoto insito nel profondo della moderna esistenza. Quella sensazione tipo «non-so-esattamente-cosa-sia-ma-non-sto-ottenendo-dalla-vita-tutto-quello-che-dovrei». Ma sono ancor di più, queste parole, molto, molto di più. Sono, nel senso più profondo del termine, una sfida proprio a ciascuno di noi qui stasera. Ma quale sfida?
Mentre venivo qui stasera, sono arrivato alla stazione, e forse soprappensiero, stavo uscendo dall’entrata, quando un ferroviere mi grida: «Ehi capo, dove pensi di andare?» O almeno questo era il succo. Sapete, gli sono grato, perché, vedete, mi ha suggerito il tipo di domanda che sentivo di dovervi rivolgere qui, stasera. E cioè voi, dove pensate di andare?
Moltissimi anni fa, quando ero giovane come alcuni di voi adesso, andai a fare una scalata in Scozia con un mio carissimo amico. Ebbene la montagna era lì, sapete, e noi eravamo decisi a scalarla. Così, una mattina all’alba, ci alzammo e iniziammo a scalare. Tutto il giorno a scalare. Su, su, su. E più in alto, più in alto, più in alto. Finché la valle divenne minuscola sotto di noi, e le nebbie della sera cominciarono a salire, e il sole a calare. E quando raggiungemmo la cima, ci sedemmo a guardare quel meraviglioso sole che tramontava dietro la montagna. E mentre guardava, il mio amico all’improvviso e con violenza vomitò.
Qualcuno pensa che la vita è un po’ così, vero? E invece no. Sapete, la vita, la vita è, piuttosto, come aprire una scatoletta di sardine. Tutti noi siamo alla ricerca della chiave. E, mi chiedo, quanti di voi presenti stasera, non hanno sprecato anni della loro vita a cercarla nei cassetti di questa vita? Io so che l’ho fatto. Altri pensano di aver trovato la chiave, vero? Arrotolano il coperchio della scatoletta della vita, e scoprono le sardine, le ricchezze della vita, là dentro, le tirano fuori e se le gustano. Ma, sapete, ce n’è sempre un pezzettino nell’angolo che non si riesce a tirar fuori. E mi chiedo, mi chiedo, c’è quel pezzettino in un angolo della vostra vita? Io so che nella mia c’è.
Così ora concludo. Voglio che quando uscirete nel mondo, in momenti di preoccupazione e dolore, di impotenza e disperazione, nel tran-tran della vita moderna, se mai sarete tentati di dire: «Basta con questo schifo!», allora voglio che in quei momenti vi ricordiate le parole del primo testo che vi ho letto stasera: «Ma mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia».
(Buio)