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Alan Moore e il problema etico in Watchmen

Creato il 20 marzo 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Nel febbraio del 2011 mi sono laureato in Scienze Umane e Filosofiche, facoltà di Scienze della Formazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo una tesi dal titolo. Rivoluzionare il fumetto riflettendo sull’uomo.
Ho pensato di pubblicare sullo Spazio Bianco un capitolo di quella tesi, precisamente quello che tocca la componente morale del dramma creato da , che io individuo come uno dei punti nevralgici dell’opera.

 

Il gran finale di Watchmen contiene le risposte ai misteri che si sono accumulati durante la storia. Essendo la trama strutturata come un giallo o un thriller classico, con tanto di omicidio subito all’inizio, pur con tutti gli inserti supereroistici e con le varie riflessioni politiche, sociali e filosofiche, era necessario arrivare al capitolo finale scoprendo il motore degli strani eventi che hanno dato il via alla storia.

Chi ha ucciso il Comico, e perché? C’è stato un complotto dietro alle accuse che hanno portato il Dottor Manhattan a lasciare la Terra? Chi ha teso la trappola a Rorschach facendolo finire il prigione?
Durante le indagini di Rorschach stesso e di Gufo Notturno, i due vigilanti arrivano alla conclusione, per quanto sconcertante, che dietro tutti questi avvenimenti si cela proprio il loro vecchio compare Ozymandias, alias Adrian Veidt.

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E qui si apre il vero cuore morale di Watchmen. Nonostante durante il corso di tutta la storia Alan Moore sa offrire numerosissimi spunti di riflessione filosofica, idee psicologiche, domande sulla vita, cenni metafumettistici e tante citazioni, ritengo che il clou dell’opera stia proprio nel finale, quando tutti i nodi vengono al pettine. E non per la scoperta del colpevole, bensì per le motivazioni che stanno alla base del suo complesso piano.
Ozymandias è sicuramente un uomo narcisista, ma non ha costruito il suo impero finanziario solo pensando a se stesso; per quanto istintivamente è l’elemento del gruppo di ex-eroi che attira meno simpatie, bisogna riconoscergli che insieme a Manhattan ha usato i suoi soldi per investire nelle ricerche tecnologiche che hanno migliorato la vita delle persone. 

E anche il terribile piano attuato è stato frutto della volontà di fare del bene. Come visto nel primo capitolo, Veidt ha riunito scienziati e scrittori per dar vita a un mostro orribile, una specie di polipo gigantesco capace di uccidere milioni di persone col solo effetto di onde psichiche. L’ha poi teletrasportato a New York provocando la morte istantanea del mostro e di milioni di newyorkesi. Prima di questo ha preparato adeguatamente il terreno, però, eliminando chi aveva il potere di impedirgli l’esecuzione del piano (Manhattan), chi aveva scoperto tutto (il Comico) e i suoi collaboratori al progetto.
Freddo, risoluto, calcolatore.
L’individuo comune, leggendo solo questa descrizione, sarebbe portato immediatamente a inorridire, e a odiare l’autore di tali orrori.
Ma Ozymandias non è un “cattivo da fumetto”, come dice lui stesso: non ha compiuto un simili atroce atto per conquistare il mondo o per sadismo, l’ha fatto per salvare il pianeta.

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La giustificazione del personaggio è lucida, chiara, logica: proprio il Comico, con la sua proverbiale ironia cinica, alla fantomatica riunione degli Acchiappa-Crimini aveva evidenziato come un gruppo di persone in costume potesse anche solo pensare di cambiare in meglio il mondo, limitandosi a catturare qualche criminale di tanto in tanto. Da lì Veidt è rimasto ossessionato dal modo adatto per agire in grande scala, per poter estirpare il male alla radice.

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E il male ormai da anni si chiamava guerra fredda, con il costante e sempre più pressante pericolo dello scontro atomico, l’Apocalisse. Stabilito questo, il rimedio logico era quello di fare in modo che i due blocchi contrapposti, USA e URRS, trovassero un valido motivo per venirsi incontro e cessare il periodo di opposizione ferrea reciproca. Ozymandias si chiede cosa può funzionare in tal senso, e la risposta logica è: un pericolo così grande e così mostruoso da rappresentare una minaccia su scala mondiale. Di fronte a tale nemico comune, le due maggiori potenze mondiali avrebbero stabilito una tregua per forza.

Da lì la preparazione del piano architettato nei minimi dettagli, in modo insospettabile.
Ecco, di solito è qui che le risposta morale degli astanti vacilla. Perché adesso c’è una motivazione buona e condivisibile, quindi il giudizio da dare al riguardo si fa più arduo.
Ozymandias è il cattivo?
Forse negli atti, ma non nelle intenzioni: lui si proclama paladino di un “eroismo meno ovvio”, dietro le quinte ha agito in modo logico a un problema, aveva i mezzi per farlo e lo ha fatto, calcolando ogni imprevisto e ogni problema e cercando di sentire su di sé il peso di tutte le vite sacrificate.
Ma il nocciolo della vicenda, per lui, è quantitativo: cosa sono milioni di persone sacrificate, di fronte alla salvezza dell’intero mondo? E’ un sacrificio accettabile, secondo logica.

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Il punto della questione sta ovviamente proprio qui: nella descrizione della situazione ricorre la parola “logica” proprio per evidenziare che sotto questo aspetto le azioni di Veidt sono ineccepibili. Dimostra di essere probabilmente davvero l’uomo più intelligente della Terra e organizza il più grande scherzo della Storia, la barzelletta definitiva e ultima per il Comico che aveva scoperto il piano e che non aveva retto il peso di questa situazione.
Ma logico non sempre è sinonimo di giusto. Giusto inteso come moralmente giusto, come eticamente corretto e accettabile. E in questo caso non lo è.

Pur con tutte le buone intenzioni di Veidt, infatti, agire come lui ha fatto significa salvare un’umanità in cui non si crede. Altrimenti si sarebbe reso conto che quello che conta non è la quantità ma la qualità, che ogni singolo essere umano è dotato di dignità e di diritto alla vita, e che il sacrificio anche di un solo uomo per favorirne altri non è mai accettabile.

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Il filosofo Hans Jonas ci viene incontro proprio su questo tema: parlando del tema del progresso medico e della validità dell’uso di uomini per cure sperimentali, Jonas afferma che nessuno può chiedere all’individuo sacrificarsi in ordine di un bene superiore o destinato a un gran numero di persone, perché si rientrerebbe in una visione di sacrificio unilaterale che si pone al di fuori del contratto sociale, che prevede che l’individuo limiti le proprie libertà non solo per favorire gli altri ma anche se stesso di riflesso. Sacrificando la vita inevitabilmente il sacrificio porterà dei vantaggi solo a terzi. Ovviamente il discorso cambia se la persona decide autonomamente di sacrificarsi per un ideale o per motivi altruistici, in quel caso la decisione è moralmente accettabile.
Ovviamente non è questo il caso del progetto di Veidt di un nuovo mondo unito. Lui si ispira direttamente ai miti già ricordati, ai faraoni e ad Alessandro Magno, che non si facevano scrupoli a sacrificare la vita dei sudditi per costruire la grandezza dell’Egitto o il sogno di un impero che unisse tutto il mondo conosciuto. 
Guardando ancora alla filosofia Veidt potrebbe trovare un valido contraltare in Hegel, che riteneva che per l’attuazione del bene comune fosse possibile, e spesso necessario, l sacrificio del singolo il quale non era dotato di significativa importanza sociale.
Ozymandias come novello condottiero si pone alla testa di questo nuovo ordine mondiale che vede la fine delle ostilità: e i telegiornali di tutto il mondo sembrano dargli ragione! Ma questo, ripetiamo, non è un valido argomento a giustificazione dell’atrocità commessa.

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La stessa accusa vale per il cattivo di un altro fumetto, che una decina di anni dopo sarà mosso pressappoco dalla stessa logica di Ozymandias. Sul numero 4 della testata PKNA – Papernik New Adventures (Terremoto, scritto da Francesco Artibani e disegnato da Francesco Guerrini, Walt Disney Italia), Paperinik si scontra contro il professor Fairfax, che vuole distruggere l’intera costa ovest di Paperopoli tramite un terremoto artificialmente indotto, provocando sì la morte di un numero enorme di innocenti ma per poter ottenere una nuova immensa distesa di terreno dagli abissi marini. Sotto il nome di Progetto Pangea il professore ha quindi pianificato freddamente l’uccisione di milioni di persone per favorirne, in futuro, miliardi. Ma questo atto, così come quello di Ozymandias e così come chi sacrifica esseri umani per sperimentare medicine e cure che favoriranno malati futuri ma non avranno nessun riscontro sul paziente che subisce l’esperimento (per citare ancora Jonas) non è ammissibile.
Un’altra cosa da evidenziare è il peso della responsabilità: Veidt ammette di sentirlo su di sé, ma in realtà con quale diritto un uomo decide la morte di altre persone, al di là del motivo? Con che autorità un individuo può osare scegliere deliberatamente per l’annientamento di altri esseri umani? Il fatto dà da pensare, è terribile immaginare qualcuno che possa ergersi a Dio e agire di conseguenza secondo le sue decisioni. 

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È interessante osservare le reazioni degli altri protagonisti: di fronte al tremendo atto di Ozymandias domina istintivamente lo sconcerto, ma davanti al fatto compiuto l’unica soluzione possibile è quella di diventare in qualche modo complici di Veidt, tacendo al mondo la verità. Se infatti il mondo sapesse che quel mostro non è un alieno o chissà che altro (con chissà quanti altri suoi simili pronti ad attaccare) ma il prodotto di una mente umana, Ozymandias verrebbe sì incriminato ma la morte di tutta quella gente sarebbe stata inutile, perché si tornerebbe al clima di guerra fredda, probabilmente inasprito. 
Pur a malincuore, tutti accettano questa tesi: tutti tranne Rorschach, il quale non è intenzionato a scendere a compromessi nemmeno stavolta. La sua personale etica gli vieta di vedere le zone grigie, e questo lo porta a vedere molto semplicemente in Veidt un assassino che come tale va denunciato al mondo e punito. Eppure si intuisce che sotto sotto, in un recondito angolo della sua mente, sa che la scelta giusta da fare è un’altra: ma non può cedere, vorrebbe dire mandare all’aria anni e anni di ideologia. Deliberatamente si fa uccidere da Manhattan, unico modo per preservare la sua integrità morale e per non condannare il mondo allo stesso tempo. 

Infine, c’è da sottolineare il messaggio finale di Alan Moore.
Egli non pone un accento deciso sulla condanna delle azioni di Ozymandias,

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lasciando al lettore il suo personale giudizio. Non giustifica e non punisce, insomma, ma mostra come tutto sommato l’idea di Veidt sia in fondo un’utopia: non nascerà un mondo migliore dal disastro creato, e la stabilità immediata non è da considerare per forza come duratura. Posare insomma le fondamenta di un nuovo ordine mondiale su una grossa menzogna è pericoloso, e l’autore ce lo vuole mostrare nell’ultima vignetta, che offre uno splendido finale aperto: un ragazzo sempliciotto e sottopagato della redazione di un quotidiano è incaricato di pescare dal contenitore denominato “archivio mitomani” un contributo da inserire nel giornale. E in quell’archivio c’è il diario di Rorschach, che il vigilante aveva inviato alla redazione prima di partire verso il covo di Ozymandias e che contiene tutti i dettagli sulle sue indagini. L’ultima vignetta lo inquadra con la mano tesa verso il mucchio di scritti, tra cui spicca il diario… il ragazzo pescherà proprio il lavoro di Rorschach, scoperchiando il vaso di Pandora sulla colpevolezza di Veidt? Oppure la sua mano pescherà qualcos’altro?

Ancora una volta Moore afferma l’importanza della decisione umana, affidando le sorti mondiali all’individuo apparentemente più inadatto di tutti; in fondo, quello potenzialmente più sacrificabile, almeno secondo i parametri di Hegel. E questo forse dà un giudizio da parte di Moore sull’azione di Adrian Veidt.

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La grandezza di Watchmen sta dunque anche in queste profonde riflessioni sul mondo e sull’uomo. Le quali sono collegate ad altrettanti riflessioni sul potere, su come ognuno si rapporta ad esso e su come esso abbia varie incarnazioni e venga usato in modi diversi a seconda di chi lo detiene. 
In tutto questo risalta la grandissima attualità del lavoro di Moore: nonostante la precisa collocazione storica e i molteplici riferimenti alla guerra fredda e quindi a un certo tipo di politica, grazie alla realtà alternativa descritta e soprattutto a temi così universali e sempre validi Watchmen può essere letto, compreso e goduto anche oggigiorno, ed esso saprà comunicare continuamente i suoi importantissimi messaggi sugli esseri umani, i loro difetti, le loro depressioni, le loro meschinità e le loro possibilità di riscatto.

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