L’autunno inglese era insolitamente mite, e il 1 novembre 2006 – il giorno in cui Aleksandr Litvinenko cominciò a morire – non faceva eccezione.
Una brezza da nord-ovest faceva frusciare le foglie dorate degli alberi di Muswell Hill, un modesto sobborgo di villette a schiera in stile edoardiano nel Nord di Londra. La temperatura era a una sola cifra, ma decisamente sopra lo zero. Gli autobus rossi a due piani circolavano con tipica imprevedibilità. La vita scorreva col pacato compiacimento dei quartieri lontani dal centro, quando chi è condannato al trantran quotidiano si ferma tra un frenetico impegno e l’altro: i figli da portare a scuola, il supermercato, la lavanderia, l’ufficio postale, magari una relazione clandestina dietro una tenda frettolosamente tirata.
Il clima, per non parlare della tranquillità, doveva sembrare incongruo a Litvinenko, ex agente segreto diventato informatore, disertore fuggito dalla natia Russia e acerrimo nemico del suo regime. Cresciuto nel Caucaso settentrionale, per fare carriera nel KGB aveva imparato a spiare i suoi compagni, a interrogare cenciosi ragazzini ceceni, e a dare la caccia ai mafiosi russi a Mosca. Ma aveva voltato le spalle a tutto questo, a tutto ciò che gli avevano insegnato a fare, quando l’Unione Sovietica si era dissolta nella nuova Russia. Aveva sfidato spudoratamente i suoi capi a Mosca, tradendo quelli che considerava i loro più intimi segreti.
Ora era venuto il momento di pagare, ma come spesso accade nei tranelli, la vittima fu l’ultima a saperlo.
(Alan S. Cowell, Londongrad, Piemme, Milano 2013, pp. 13-14. Traduzione di Annalisa Carena)
Vita e destino di Alexander Litvinenko, ex agente del KGB e dell’FSB balzato agli onori della cronaca nel 2006, dopo essere stato avvelenato con una sostanza quasi dimenticata e pressoché introvabile in occidente; un’arma quasi perfetta: il polonio 210.
Alan S. Cowell, corrispondente britannico del New York Times, ricostruisce la vita di Litvinenko, dalla nascita nella cittadina di Voronez, alla morte, passando attraverso gli anni della formazione, l’arruolamento, l’inserimento nella divisione Dzerinskij e il reclutamento nel KGB, il matrimonio, la separazione dalla prima moglie Natalia e l’incontro con la seconda, la ballerina Marina Stoda, la rottura con il nuovo governo e la fuga verso Londra; il tutto sullo sfondo degli stravolgimenti che hanno segnato l’evoluzione della Russia dalla caduta del Muro ai giorni nostri, dal trionfo degli oligarchi sotto la presidenza Eltsin all’ascesa di Putin al Cremlino.
Il racconto si apre con un resoconto un po’ documentato e un po’ immaginario (una fortunata miscela di rapporti di polizia e sensazioni del protagonista reinventate dalla penna di Cowell) dell’ultimo giorno da “uomo sano” di Litvinenko -quel 1 novembre 2006 in cui “cominciò a morire”- per poi ripartire da zero, andando a ricercare i motivi che hanno portato l’ambizioso ex agente dei servizi segreti a rifugiarsi tra le nutrite schiere degli oppositori di Putin espatriati a Londra.
La ricostruzione di Cowell è lucida e circostanziata; lo stile è secco, lineare, senza fronzoli, per quanto non privo di una certa retorica da saggistica divulgativa anglosassone. Ma l’autore, già candidato al Pulitzer, non è uno qualunque, e il suo racconto produce sul lettore italiano (poco abituato al genere) degli effetti quasi ipnotici.
Il testo, un libro-inchiesta redatto con esemplare lucidità, ma senza rinunciare ad alcune trovate da racconto e chiare strizzate d’occhio al romanzo spionistico, procede per accumuli e aggiunte, flashback e analisi storiche e politiche documentatissime.
L’autore conduce il gioco da vero maestro e con grande onestà, suggerendo una sua visione dei fatti senza indulgere a facili moralismi, e senza cedere alla tentazione di rispondere ai (molti) interrogativi aperti.
Il risultato è un quadro iper-realistico e agghiacciante; un saggio densissimo di informazioni che si legge come un romanzo di spionaggio; un inedito ritratto della nuova Russia, che fornisce una sorta di controcanto (o di complemento) alla nuova narrativa nazional-bolscevica à la Prilepin; un documento imprescindibile, che prende le mosse da un caso di cronaca tristemente noto per indagare non solo la situazione attuale, ma anche le condizioni e i processi storici che hanno contribuito a crearla.
Probabilmente il miglior saggio in circolazione sulla Russia dell’era Putin.
Londongrad, di Alan S. Cowell è proposto ai lettori italiani da Piemme.