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Alanis Zerotette

Creato il 14 settembre 2012 da Cannibal Kid
Condividi Alanis Zerotette Alanis Morissette “Havoc and Bright Lights” Genere: lagna-rock Provenienza: Ottawa, Canada Se ti piace ascolta anche: Avril Lavigne, Tori Amos, Sheryl Corvo
La gente dovrebbe aprire bocca soltanto quando ha davvero qualcosa da dire. È una cosa che penso e che ho sempre pensato. È una cosa che cerco di mettere in atto anche in questo blog. Magari non mi riesce tutte le volte, però l’obiettivo è sempre quello di realizzare dei post che abbiano qualcosa da dire. Non per forza una verità fondamentale sulla vita e sul mondo, giusto “qualcosa”. A volte può capitare di scrivere di un film solo perché l’ho visto e allora sento in automatico il bisogno di parlarne a tutti i costi e ne viene fuori un post riempitivo. Nella quantita, capita. Il più delle volte comunque cerco di parlare di una pellicola, così come di un disco o di un libro o di altro, solo quando ho l’ispirazione per raccontarlo in maniera personale e regalarne una visione che sia mia. E poi, naturalmente, ci sono le volte in cui scrivo solo delle gran ca**ate, ma anche quelle ca**ate in qualche modo provano a esprimere “qualcosa”.

Alanis Zerotette

"Cos'è questa luce accecante? Dio, o solo l'ego gigantesco di Cannibal Kid?"

Alanis Morissette è una che una volta di cose da dire ne aveva. Parecchie. Il suo album d’esordio Jagged Little Pill sarà stato anche prodotto in maniera furbastra, con le chitarre di impronta grunge addolcite da qualche ritmo pop e un sapore da classic rock americano, eppure la ai tempi ragazza aveva parole avvelenate da sputare fuori. Basti sentire “You Oughta Know”. Una canzone sulla fine di un rapporto decisamente più incazzosa rispetto ad analoghe hit recenti come “Somebody That I Used to Know” di Gotye o “Someone Like You” di Adele, che prendono la rottura con maggiore filosofia. Con il secondo album, “Supposed Former Infatuation Junkie”, benché eccessivo, troppo pieno di roba e non del tutto riuscito, la sensazione era quella di trovarsi di fronte a un’artista che aveva più cose da dire ancora. Sulla popolarità enorme che l’aveva travolta e sulla sua esperienza life-changing in India, ringraziata nel singolo “Thank U”. Dal terzo disco in poi, Alanis non aveva più niente da dire. È diventata incosistente. Ha continuato a tirare fuori un (inutile) album nuovo ogni tanto così, per mantenere il suo agiato stile di vita. La musica è passata dall’essere una passione, una valvola di sfogo per tirare fuori ciò che aveva dentro, a una professione come un’altra. Capita a un sacco di artisti. Dicono tutto ciò che avevano di più o meno originale e di più o meno personale da dire a inizio carriera e poi semplicemente si fanno risucchiare dall’industria. Passano dall’essere artisti all’essere impiegati comuni, come tanti altri. Niente di male, in questo. Non è che uno può tirare sempre fuori qualcosa di nuovo e di bellissimo e di fondamentale. Si fanno dischi, così come si producono automobili. Anche se, oddio, oggi come oggi entrambi i settori non è che siano dei più redditizi. Come detto, niente di male in questo. Soprattutto in tempi di crisi, ci si arrangia come si può. L’unica cosa è che noi non siamo obbligati a starli a sentire. Se non hanno più niente da dire, meglio rivolgere le nostre stazioni radio, le nostre cuffiette e i nostri impianti subwoofer altrove.
Per una sorta di attaccamento adolescenziale, ché io con i primi due dischi dell’Alanis ci sono cresciuto, una possibilità al suo nuovo disco ho voluto comunque dargliela. Invano, visto che si allinea alle sue ultime poco memorabili produzioni e vola forse ancora più in basso. Però non si sa mai. Magari un giorno la Morissette avrà qualcosa da dire di nuovo. Magari tirerà fuori un disco di ballate country in cui rimetterà a nudo la sua anima e tornerà ad essere un’artista. Il nuovo “Havoc and Bright Lights” la vede invece nelle vesti di impiegata, di commessa musicale. Da una parte cerca di tornare alle origini rock del suo debutto, con delle chitarrone sparate a manetta che però più che ricordare l’alternative rock degli anni Novanta finiscono per far venire in mente lo stile Nickelback. Ovvero: fanno sanguinare le orecchie. Come nel primo pessimo spiritualeggiante singolo “Guardian”.

Alanis Zerotette
Dall’altra parte, quando i ritmi rallentano le cose si fanno ancora più drammatiche e si fa fatica a non addormentarsi con pezzi comatosi come “’til You”, “Empany”, “Havoc”, “Win and Win”. E, quando va ancora peggio, si vorrebbero sbattere le orecchie contro il muro per non sentire (la litania di “Lens”). L’album si salva un minimo giusto nel finale, con un paio di pezzi decenti (“Edge of Evolution” e “Will You Be My Girlfriend”). La questione fondamentale comunque non sono tanto i suoni o le singole canzoni, quanto la totale mancanza di una anche solo vaga ispirazione. La gente dovrebbe aprire bocca soltanto quando ha davvero qualcosa da dire. I cantanti dovrebbero fare lo stesso. E pure io, mi sa. (voto 4/10)

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