Il ponte sulla Viosa
Il bar
Permet è un piccolo paese, piuttosto tranquillo, dove indovini subito le case di coloro che hanno qualche parente all'estero, con le loro parti appena rinnovate e l'esibizione di un benessere relativo che arriva da lontano. Piastrelle italiane e balaustre bianche, tetti rossi nuovi appena terminati. Una grande distanza dalle vecchie case del regime che stanno cadendo a pezzi in periferia. Appena fuori dalla città, una serie di caserme costruite un tempo dagli italiani che erano arrivati qui nel ventennio, con la pomposità delle frasi del conducator ancora impresse sui muri ammuffiti delle baracche, poi diventate campi di concentramento, in cui non si era avvertito il bisogno di cancellarle, tanto, certe prosopopee sono valide in tutte le dittature, qualunque colore abbiano. Tutta questa zona e sempre di più, man mano che si procede verso sud, la presenza italiana fu massiccia in particolare durante la guerra contro la Grecia, che ebbe qui alcuni dei suoi atti più sanguinosi. La strada corre sul fondovalle lungo il fiume Viosa, verso Tepelene, la città di Alì Pascià. Quando deve attraversare il fiume ecco il grande ponte di ferro. Su una delle travi portanti, ecco la targa in ferro dell'Ansaldo del 1936, che mantiene il ricordo della presenza italica. Una vecchia vestita di nero col foulard bianco, lo attraversa a piedi con un largo fascio di erba sotto il braccio.Sotto, l'acqua azzurra e lucente come quella del Timavo, corre verso il mare. In mezzo a queste montagne ci sono delle interessanti situazioni di minoranze etniche, i cui rapporti con la maggioranza albanese sono molto simili, anche se questo è un paese così piccolo, a quanto accade in tutte le parti del mondo. Basta prendere qualche stradina laterale che degenera subito in pista sassosa e difficile, per scalare i fianchi della valle e trovare qua e là piccoli agglomerati di case. Sono paesetti di lingua greca e qui pare che il senso di appartenenza sia piuttosto forte. I pastori che trovi e a cui chiedi informazioni, sono piuttosto rudi e rispondono solo in greco, anche se capiscono benissimo l'albanese. A sua volta anche se chi chiede conosce il greco si irrita di questa supponenza e vorrebbe risposte in lingua ufficiale. E' il solito dialogo tra sordi tra chi si sente comunque orgogliosamente "diverso" che poi conduce a chiedere assurde indipendenze sempre più minuscole e insensate, ma sempre foriere di guasti e irredentismi litigiosi. Naturalmente c'è chi ha interesse a soffiare sul fuoco, perché creare disordine a casa del vicino può sempre tornare utile. Così sembra che qualche anno fa, la Grecia abbia concesso a tutti i grecofoni albanesi che lo richiedessero, la cittadinanza e per buona pesa, una pensione di circa 400 € al mese, più di uno stipendio medio locale.
Una chiesa ortodossa abbandonata
Sarà forse anche questo uno dei tanti motivi per cui quel paese è andato in malora e adesso chiede di mettere in comune i debiti. Naturalmente hanno aderito tutti, con grande stizza degli albanesi veraci che hanno vissuto tutto ciò come un tradimento. Adesso che la pensione è stata sospesa, capirà con la crisi, gli autoctoni ridono e i grecofoni masticano amaro e irredentismo. Comunque si tratta davvero di paesini semiabbandonati tra le montagne; qualche casa divisa da orti circondati da muretti a secco; tanti muri sbrecciati e distrutti dall'abbandono di coloro che se ne sono andati da qualche parte in Europa a cercare fortuna. In una casa imbiancata di nuovo, una piccola insegna, una marca di birra, una pubblicità di gelati. Se chiami, esce una signora e apre la porta di questo bar provvisorio aperto in una cantina, due tavoli e un frigorifero. Caffè turco o greco, come è più politicamente corretto chiamarlo, delizioso però come sempre. I bambini che si radunano al tam tam della novità. Al di là del sentiero in cui passa un gregge di capre, un asino raglia in mezzo ai cespugli, poi si rimette a brucare. E' bello, peloso e morbido. Ti fermi a guardarlo e appena al di là delle frasche intravedi che il sentiero prosegue anche se forse non ci passa nessuno da tempo.Pipistrelli
Scendi sui sassi scivolosi e in fondo al viottolo una costruzione abbandonata, dai muri scrostati e coperti di muffa, in cui indovini una struttura più complessa delle semplici casupole del paese. Entri nel cortiletto e compare un portico importante e ancora ben visibile, con bei capitelli su colonne bianche ed eleganti. La porta è accostata e entrare in questa chiesetta abbandonata ha il sapore speciale della scoperta. Entri adagio e in silenzio, timoroso di profanare qualche cosa, quasi se dovesse apparire all'improvviso qualche monaco a chiederti conto di questa intrusione pagana. Invece non c'è nessuno, solo la penombra dei decenni di abbandono. Guardi senza fiato l'iconostasi di legno scolpito, con gli spazi vuoti di icone depredate chissà quando,sostituite da qualche stampa e gli affreschi che si sbriciolano sul muro e sulle volte, marezzate dalle macchie dell'umidità che sta cercando di avvolgere nel suo abbraccio di morte quel luogo che ha sentito preghiere e canti, lacrime per i morti e gioia per battesimi e matrimoni. Ci sono ancora le ombre a ricordarlo, a tenerne viva la memoria, tra le colonne, sui muri, scandite dai raggi del sole che penetrano dai piccoli varchi delle finestre. In una nicchia del muro trovi ancora i resti della devozione contadina, ceri smoccolati, monete e qualche banconota che raccontano le offerte e le preghiere di tanti decenni fa; poco più in là un gruppo di pipistrelli pende appeso in un anfratto della volta, ad un tuo movimento, di colpo, volano via sventagliando le piccole ali, l'unica cosa rimasta viva lì dentro.L'iconostasi
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