Posted 14 dicembre 2012 in Albania, Kosovo, Slider with 0 Comments
di Davide Denti
Per un centenario non ci si fa mancare niente. Nel caso dell’Albania, è una bella polemica. Dopo il giorno delle celebrazioni – condite da una torta da 18 tonnellate cucinata in strada a Tirana e distribuita ai passanti - sono arrivate le dichiarazioni del premier Sali Berisha. Berisha, riferendosi al contesto storico del 1912, ha parlato di “terre albanesi” per quei territori che si estendono “da Prevez [in Grecia] a Presevo [in Serbia], da Skopje [in Macedonia] a Podgorica [in Montenegro]“. Il ministro degli esteri greco Avramopoulos, in risposta, ha cancellato la visita a Tirana, presto seguito dal presidente macedone Ivanov.
Berisha ha rincarato la dose nei giorni successivi, quando a seguito di una riunione del governo a Valona, per celebrare la dichiarazione d’indipendenza, ha lanciato la passportisatsija shqipetara: “Vogliamo informare gli albanesi che il nostro governo sta pensando una legge per conferire la cittadinanza a tutti gli albanesi, ovunque essi vivano.” “Il nostro desiderio e di vedere tutti gli albanesi sparsi in diversi stati, uniti all’interno dei confini dell’Unione europea”. Dichiarazioni che, in primis, prescindono dalla distinzione tra cittadinanza, basata sulla lealtà alle strutture dello stato, e nazionalità su criteri etno-culturali. E che, necessariamente, hanno messo di nuovo sul chi vive i rappresentanti degli stati vicini, Macedonia e Grecia in primis.
Il motivo di tale irritazione non riguarda tanto questioni di integrità territoriale, anche se questa è stata la prima reazione dei paesi vicini. I confini attuali, per quanto ancora contestati da qualche sparuto gruppo, sono ormai acquisiti, e la Grande Albania sembra un’idea grottesca, visti i problemi odierni dell’Albania stessa. Piuttosto, il rischio è di indebolire la difficile identificazione e lealtà tra minoranze albanofone e strutture statali; una questione che colpisce profondamente la Macedonia, dove il 20% di cittadini della minoranza albanofona sembra sempre più ritirarsi dalle strutture statali e dalla partecipazione al dibattito democratico, lasciando peraltro il campo libero, a Skopje, al nazionalismo vetero-macedone.
I primi a correre a farsi un passaporto albanese (se non l’hanno già) sarebbero certo i cittadini del Kosovo, ultimo territorio dei Balcani occidentali ad essere soggetto al regime dei visti per l’ingresso nei paesi Schengen dell’Unione Europea. La mossa complicherebbe le relazioni tra Pristina e Bruxelles, che non la vedrebbe bene. L’Albania ha una domanda di adesione all’UE ancora in sospeso dal 2009, dopo che per due anni Commissione e Consiglio UE hanno rifiutato di prenderla in considerazione per mancanza di rispetto dei criteri politici di Copenhagen. Se veramente la passportisatsija venisse messa in atto, l’Albania potrebbe perfino rischiare di finire di nuovo soggetta ai visti europei. Il processo di liberalizzazione dei visti, infatti, prevede che l’Albania si impegni a non concedere facilmente passaporti a cittadini di stati terzi. Infine, la proposta di Berisha avrebbe un’effetto destabilizzante anche sui colloqui Serbia-Kosovo, che procedono con inaspettata continuità dopo il cambio di governo a Belgrado, e dare fastidio allo stesso governo di Pristina, che punta sull’indipendenza anziché sull’integrazione con Tirana.
Ma Berisha è da prendere sul serio? Altri politici albanesi, come Ditmir Bushati, socialista e presidente della Commissione parlamentare sull’integrazione europea, hanno definito le dichiarazioni di Berisha “anacronistico nazionalismo”. E’ probabile che la boutade di Berisha resti tale e non si traduca in legislazione. Il nido di vespe sollevato dovrebbe tuttavia spronare la riflessione sul legame tra cittadinanza e nazionalità, nei Balcani, e su quanto lo state-building sia ancora troppo spesso inteso come la costruzione di stati-nazione basati su una nazionalità “titolare”.