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Albion di Bianca Marconero

Creato il 17 aprile 2014 da Anncleire @anncleire

 Albion di Bianca Marconero

“E come facciamo ad entrare? Diciamo apriti in elfico?”

“Sai dire apriti in elfico? Sono impressionato.” Disse Erek, versando il caffè.

 

“Albion” è il primo volume di una serie, tutta italiana, di Bianca Marconero, una scrittrice davvero promettente, che mi ha sconvolto con la sua bravura. Mi sono avvicinata a questo volume solo ed esclusivamente per la copertina, che mi aveva incantata sin dalla prima volta in cui l’avevo scorta. Si tratta di un urban fantasy, young adult, dalle tinte apparentemente già osservate ma che realizza orbite mai considerate. Le leggende di Re Artù fanno da filo, per intessere una storia mitica. Francamente io non ne sono particolarmente interessata, ma la Marconero è riuscita a caratterizzare una serie di personaggi interessanti e palpitanti e una storia che vive di vita propria.

 

Marco Cinquedraghi è un ragazzo privilegiato, ma non fortunato. Cresciuto senza madre, privato del fratello maggiore, morto misteriosamente, il giorno del funerale del nonno riceve la notizia che gli sconvolgerà la vita: dovrà partire per l’Albion college, la misteriosa scuola in cui, da sempre, si diplomano i Cinquedraghi. Ma il blasonato collegio svizzero riserva non poche sorprese: si studia il sassone, ci si confronta, lance in resta, in turni di giostra. E tra un duello con spade antiche e possenti e lezioni di filologia romanza, tra la scoperta di mistici poteri e occulte organizzazioni che tramano nell’ombra, Marco scoprirà che gli amici si trovano là dove meno te lo aspetti e che l’amore vero vale il più grande dei sacrifici. Nell’ombra di un guerriero leggendario. Nell’eco di un amore indimenticabile. Nel ridestarsi di amicizie che superano i confini del tempo e nell’arcano potere del più grande tra i maghi, Marco Cinquedraghi dovrà trovare il coraggio per affrontare un destino di gloria e sacrificio. L’eredità del più grande dei re!

 

Tutto inizia da una ragazzo, da un funerale con un chiaro intento, quello che sconvolge tutta la sua esistenza così come l’ha conosciuta. “Fine è solo il nome che diamo all’inizio di qualcosa di nuovo.” E allora Marco è pronto per catapultarsi in una nuova avventura, un viaggio che non è solo formazione ma è anche sbagli e lotte. La narrazione in terza persona ci mostra prospettive differenti a seconda delle esigenze di trama, ma è comunque il giovane Cinquedraghi ad avere il maggior spazio. Non è il classico eroe dei libri, il ragazzo amabile e positivo con cui identificarsi fin da principio. Non è sfigato, non è brutto, non è povero, anzi, Marco avrebbe tutte le caratteristiche per essere un invidiabile ragazzo di diciassette anni, eppure… eppure seppur odiosamente presuntuoso come solo un maschio italiano e altolocato sa essere Marco ha qualcosa di speciale. È un ragazzo che soffre, che si ingarbuglia, che fatica a trovare la sua strada.

“Non si deve scappare dal dolore.” Commentò Angus, “lui ti trova. E più lo hai eluso, più morde. Mi dispiace che l’abbia appreso in questo modo. Ma dopotutto lei è davvero giovane, e ogni volta che impara qualche verità di questa portata cresce e si avvicina a essere un uomo.”

Il dolore, il lutto, l’affrontare sé stessi e le proprie debolezze, è da qui che si parte, da quell’inflessibile scorrere del tempo, quella punta di freccia che non lascia scampo a nessuno. Perché quando arriva, arriva per tutti. Ma è proprio questo quello che accomuna tutti personaggi del libro, quello che fa da fil rouge alla storia. Tutti hanno qualcosa da nascondere, tutti devono fare i conti con una perdita personale. È qualcosa di sconvolgente, come in un qualche modo assurdo, i rapporti veri, quelli più sinceri e incredibili, nascono dalle ceneri di una perdita, dal dolore di una sconfitta, dallo strappo generato da qualche errore.

Affannarsi a esibire il dolore era una vanità senza senso, perché il dolore vero, poi, nessuno lo voleva.

Non ci sono geometrie semplici, lo stesso Marco è arzigogolato e contraddittorio, è uno di quei personaggi dietro cui imprechi disperatamente ma alla fine ti ritrovi a considerare con un occhio più indulgente, proprio perché vero, reale. Quando leggi i suoi pensieri ti ritrovi a chiudere un occhio, a pensare che, in qualche modo, è plausibile. Marco non è uno di quei protagonisti di young adult che sembra troppo sofisticato e perfetto, Marco è uno di noi, uno che deve lottare per ottenere ciò che vuole.

Ma ciò che è importante in questo libro è la battaglia che si viene a delineare man mano che passano i giorni, le settimane, man mano che i nostri pronti eroi, eroi improvvisati, non compiacenti, che vengono trascinati nel mezzo di una situazione che non si sarebbero mai immaginati. Non solo una battaglia epica, quella annosa tra bene e male, che si alimenta e fagocita la speranza, ma una battaglia quotidiana e preziosa che si svolge nelle mura della scuola. E proprio la prima parte del libro è concentrata nell’ambientarsi di Marco all’Albion, nello scoprirne le abitudini e le regole.

Colpisci per uccidere. È solo così che  si resta vivi fino all’Albion.

Gli adolescenti non sono dei tipetti semplici e se poi li metti a studiare la filologia romanza o le regole della scherma, per uno sviluppo sia fisico che mentale. I ragazzi sono sottoposti ad una pressione feroce e imprevedibile, a regole severe e comportamenti indicibili. Da questo punto di vista la Bianconero è stata veramente straordinaria nel delineare una psicologia azzeccatissima e una caratterizzazione approfondita che hanno sicuramente aiutato ad avvicinarsi, in maniera diversa ai vari protagonisti, dall’altra parte però rallenta molto la narrazione, che un po’ si perde nei molti momenti legati alla vita nel college e manca di verve.

“Sconfiggere un nemico non significa sconfiggere il male. E suo nonno sapeva bene che il male non muore mai.” disse, con l’aria di rivelargli un grande segreto. “Ma per nostra fortuna anche la sua antitesi è immortale. Il bene è un’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri”

Ma l’Albion è prima di tutto tradizione, una tradizione che si perde nella notte dei tempi, che si lega a miti e leggende che alimentano l’immaginario collettivo di cavalieri, re e guerrieri. Tradizioni che sono state contaminate e cambiano, vorticosamente, lasciandosi a sedimentare negli opportunismi e nei voleri del singolo, ma d’altronde Erek aveva ragione. L’onore era un’altra cosa.

Non solo Marco quindi, ma anche e soprattutto i ragazzi dell’ala est che si distinguono per le loro straordinarie capacità e il loro spirito di sacrificio. A cominciare da Deacon il genio dei computer, spiritoso e sarcastico, intelligente e remissivo, il vero leader, ma allo stesso tempo così bonariamente genuino da lasciare interdetti. Helena, con la sua passione per i racconti cavallereschi e il suo spiccato spirito di sacrificio, che si perde nelle sue contraddizioni e nelle sue lente scoperte. Certo, colei che tiene insieme le fila della romance, la bella di turno, ma che non ha nulla della damiselle in distress, ma anzi, una ragazza capace di tenere testa a chiunque e di lanciarsi nel salvataggio di chi le sembra meritevole. Erek, il vero spirito del gruppo, colui che tiene alto il morale anche nei momenti peggiori. Di certo un ragazzo pieno di sorprese, generoso e altruista, che sa guardare oltre l’apparenza e arrivare dritto al punto.

Ma il mio preferito resta indubbiamente Lance, il compagno di stanza di Marco e colui che diventa, in breve, un amico straordinario. Leale, compassionevole, riflessivo, pensieroso, è il vero cavaliere medievale, colui che si veste di tutto punto e che salva i deboli senza pensarci due volte. Lance è davvero uno di quei personaggi che ami da subito e di cui non ti stancheresti mai.

L’ambientazione è particolare, nel cuore delle Alpi svizzere sorge questa sorta di castello, il college, in cui si svolge gran parte dell’azione. Un luogo quasi fuori tempo, con le divise per i ragazzi, il refettorio, le camerate, con quel tocco tra l’Harry Potter e i classici racconti arturiani.

Il particolare da non dimenticare? Un orologio…

Un libro complesso, da gustare con un animo aperto e la passione per le leggende di Camelot, con un gruppo di ragazzi che costruiscono dei rapporti veri e un’amicizia che vola oltre i confini del dovere per sedimentarsi in un mondo che è principalmente lotta e competizione. Niente è semplice, nessuno è perfetto e proprio per questo, per questa mancanza di definizione dei ruoli tutto diventa più semplice da comprendere, anche se più complesso da gestire. Molto spesso si resta scettici, ma in fin dei conti si fa il tifo per Marco e Company, perché io perlomeno preferisco l’imperfezione di errori per cui si chiede scusa, che il finto buonismo e perfezione di certi protagonisti di ya.


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