Una Lettrice, “San Valentino, un libro per quelli che lo odiano”: Frank e April Wheeler sono belli, brillanti, colti, ricchi, eleganti. Sono sposati, fanno molta vita sociale. Hanno due splendidi bambini – biondi, probabilmente. Vivono in una villetta americana, in una cittadina americana, nei ruggenti anni ’50. Si credono migliori degli altri: pensano di essere più colti, credono di essere diversi rispetto alla massa omologata di piccoli borghesi. Si sentono anticonformisti e criticano, con un bicchiere di whisky in mano, seduti nel salotto borghese dei loro amici, quella che chiamano, arricciando le labbra, la massa.
Alessandro Gilioli, “Sarà tempo di incazzatura tranquilla”: Era dal 1978 che non vedevo un governo nascere con una convergenza di appoggi così forte e trasversale.
Carmilla on line, “Punk, post-punk e anticapitalismo”: Ma perché porsi certe domande? In fondo il disco è un oggetto, un feticcio, un prodotto, quindi può essere venduto insieme a tutti gli altri prodotti della cultura di massa, ci tocca prendere coscienza che stiamo consumando solo musica gastronomica, come direbbe Eco, per non parlare di Adorno, e si potrebbe andare avanti. Qualunque sia il critico di riferimento, è indubbio che alcuni dischi non sono solo un prodotto tra tanti nel menù illimitato dell’industria del divertimento.
Muninn, “Vita e morte nel bosco”: Perché il bosco vecchio è speciale, ovviamente: ma non è “dimensione incontaminata che simbolizza la vita come forza gioiosa e gratuita, disinteressata ed eterna”, non è una favola ecologista, anticapitalista, anticonsumistica, naturalista. Il vecchio bosco è bello, è antico, ma fa anche paura. La notte, al buio, i tronchi immensi degli alberi chiudono le stelle e rumori misteriosi si alternano a silenzi ancora più terribili. I topi rosicchiano lentamente le travi del soffitto e orribili incubi dalla testa di vitello scarnificata o dal molliccio aspetto globulare tormentano il sonno dei bambini ammalati. Paure senza volto, orribili carrettieri dagli occhi di brace e guerre entomologiche tra vermi e vespe, vomitevoli e silenziose battaglie del mondo microscopico.
Nessuno Dice Libera, “Medicina per non Piemontesi”: Se in un’epoca di globalizzazione è fondamentale conoscere le lingue e saper comunicare, anche solo con poche semplici frasi, con pazienti di lingua inglese, francese o tedesca, vi assicuro che, nelle piccole realtà come la mia, è assai importante masticare anche un po’ di dialetto locale. Il dialetto accorcia le distanze. Fa superare la diffidenza innata verso la figura del medico.
Marco Damilano, “La parola Io”: È quello che vorrebbe apparire Matteo Renzi agli italiani nel momento della presa del potere: un capo scout, ottimista, coraggioso, fattivo, che prende per mano i suoi lupetti e li trascina sul sentiero meno battuto, nel bosco. E anche strafottente, con l’arroganza innata di chi sa dare gli ordini e condurre il suo piccolo esercito, sia pure disarmato e festoso, con il mito della semplicità. Il guaio è che gli ultimi giorni hanno ricoperto la strada di sterpaglie, serpenti velenosi sotto le foglie, macerie. E la strada si è fatta ancora più perigliosa.
Menteminima, “Riflessione. Nel senso che volete voi.”: Non siamo tutti artisti, nemmeno i bambini. Siamo tutti (ma anche no) in grado di fare un prodotto, ma il genio non abita in ogni scarabocchio uscito dal pennarello.
Ma la notte no!, “Tipi da treno”: Ce ne sono tanti, eh! Ma io vi parlo di due categorie: quelli che stanno al telefono e gli ammorbatori. Ecco una specie di fenomenologia.
Fabristol, “Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: i 10 errori più comuni degli italiani”: Dopo quasi un decennio all’estero (ebbene sì questo settembre segnerà i 9 anni della mia permanenza all’estero) posso con sicurezza elencare i dieci più comuni errori che gli italiani fanno quando tentano di parlare l’inglese
Luca De Biase, “Ancora su: Abbiamo cambiato l’Italia mettendo Dallas in televisione”: Per l’Italia, l’avvio simbolico del trentennio iperliberista potrebbe essere stato non politico ma televisivo. E’ un’immagine che è venuta in mente al leader della destra, attuale rifondatore di Forza Italia, che nel 1989 era soltanto il magnate della tv privata. E che in un’intervista di quell’anno disse: “Abbiamo cambiato l’Italia mettendo Dallas in televisione”.
Terminologia Etc., “Piacevole, parola chiave del momento?”: Quante volte vi siete trovati a pensare, o dire, o scrivere, «Com’è piacevole», recentemente, a proposito di qualcosa che vi aveva colpito? Se siete in linea con lo spirito del tempo a questa domanda dovete rispondere: «Parecchie volte», perché piacevole — con i suoi sinonimi di delizioso, incantevole, rasserenante — è parola chiave del momento, quella che interpreta meglio le categorie contemporanee.
Rivista Studio, “L’amateur della politica”: A dirla tutta per quei tempi era già un’immagine vecchia, anni ‘80. I grandi marchi della moda avevano già virato sul real, su Kate Moss semplice e struccata, su scenografie di appartamenti comuni, fra termosifoni e muri scrostati. Ma nella politica italiana quella era avanguardia, basti pensare che erano anni in cui, a sinistra, era sostanzialmente proibito usare i volti (il partito, prima delle persone) e la comunicazione del Pci dal 1968 era stata per anni sostanzialmente affidata a Oriano Niccolai, che era un grafico-artista, colto – più vicino alla pop-art italiana, al Futurismo, che non a Carosello, per capirci. Era un’immagine studiata, ma educatrice: cospargevano il paese di una grafica “alta”, tra l’altro bellissima, ma molto lontano dall’idea che servisse a creare consenso.