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È questa tiepida impressione di settembre il momento più opportuno per ripercorrere le gesta di uno dei tesori più dimenticati del'arte italiana, di un uomo che ha fatto dell'eclettismo un marchio di fabbrica incancellabile, forgiato dal suo carattere da toscanaccio che lo ha portato a molti scontri e pochi compromessi, nel rispetto di una vocazione da leader di altissimo livello.
Direttamente da Santa Croce sull'Arno, anno di grazia 1939:
Aldo Caponi in arte Don Backy
Folgorato dal Rock'n Roll, si autoproduce i primi pezzi agli inizi degli anni'60 e mentre di giorno fa il pellettiere, nel '62 tira fuori "la storia di Frankie Ballan", un pezzo western prima di Morricone-Sergio Leone, arrivando alle orecchie di Celentano, che subito vuole Aldo nel suo Clan, facendolo diventare "Don Backy"; i due impazzano, sono gli anni delle traduzioni in italiano delle hit americane, e l'autore toscano trasforma "stand by me" in "Pregherò" sparando il molleggiato in heavy rotation nei giradischi dei nostri genitori.
Come il suo nuovo mentore anche Aldo comincia a far capolino come attore nelle commediole disimpegnate della "swingin' Italy" degli anni '60, gira a mille ormai, e nel 1967 si presenta a San Remo in coppia con Johnny Dorelli, i due cantano "l'immensità" e si incastonano nella storia della musica Italiana, mentre i produttori cinematografici se lo contendono sempre di più, ma poi, improvvisamente, qualcosa va storto.
Litiga con Celentano, perchè si accorge che il futuro messia delle prime serate RAI, non gli paga da diversi anni le royalties per le canzoni che lo hanno portato al successo, e l'uomo-primate, dal canto suo, si vendica stonando volutamente la sua "Canzone" al Sanremo del '68, che comunque si piazza al terzo posto.
Ma a Don Backy non gliene frega un cazzo, manda in culo il Clan, fonda la sua casa discografica e continua la sua carriera nel cinema, perchè lui la faccia da attore ce l'ha davvero, non si limita a smorfie scimmiesche e spasimi epilettici agli arti inferiori, arrivando al culmine della sua carriera nel '74, quando fa parte della sanguinaria banda di "Cani Arrabbiati", mitologico excursus nel thriller di Mario Bava, maestro del Tarantino in questi giorni direttore di giuria al festival del cinema di Venezia, annuale speranza che l'intrattenimento possa tornare ad abitare nella sala di proiezione, e non nel circo di Gheddafi travestito da visita ufficiale.
Si ringraziano i soliti noti cinefili dell'hinterland fiorentino per aver rispolverato il Caponi attore pochi giorni fa...
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