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Aldo grasso sul toro

Da Astonvilla
ALDO GRASSO SUL TORODiversi sono i sentimenti con cui, di solito, si segue un programma televisivo: si va dall'irritazione all'entusiasmo, dall'indifferenza alla partecipazione. L'altra sera mi è capitato di seguire un programma con il magone. Al Comunale di Torino si giocava una partita di beneficenza, il derby Toro-gi**e per raccogliere fondi per la ricerca contro la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica (Sky Sport, mercoledì, ore 20,30). In maglia granata vedevi Pulici, Marchegiani, Junior, Zaccarelli, Sala e ti passava davanti una vita e il magone ti pesava sullo stomaco come un macigno. Il magone non va via con un pianto liberatorio o mandando a quel paese Urbano Cairo, l'uomo che ha affossato i nostri sogni di gioventù, non va via scoprendo che Junior e Lentini corrono più degli attuali indossatori di maglie granata; no, resta lì, come una dolorosa serietà ripiegata su se stessa.
In panchina c'era Emiliano Mondonico, che ha appena vinto una sua battaglia e a cui è legata l'immagine simbolo del granatismo: era il 13 maggio del 1992 quando al Toro di Martin Vazquez, Cravero e Lentini sfuggì sul più bello la Coppa Uefa nello stadio di Amsterdam. Il tecnico, furibondo per gli errori dell'arbitro a favore dell'Ajax e per tre traverse colpite dal Toro, brandì minacciosamente una sedia, sfogando la sua rabbia in un gesto memorabile. Da allora, invano, si canta «Emiliano alza la sedia, alza la sedia per noi».
Ma il magone non se ne va, incapace com'è di esprimersi con manifestazioni esagerate, conosce solo il sospiro. Però, la tv non è insensibile al simbolico e negli istanti in cui il Toro mostrava di essere ancora Toro, Rete4 trasmetteva un capolavoro di Clint Eastwood, «Gran Torino», con quel sacrifico finale che appartiene alla tragicità granata e Pippo Baudo in «Centocinquanta» evocava l'allenatore ebreo del Grande Torino Ernest Erbstein, morto a Superga, costretto però prima a lasciare l'Italia per le leggi razziali.
Aldo Grasso


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