di Yassin al-Haj Saleh. (Yassin al-Haj Saleh è considerato uno dei più importanti osservatori della vita politica siriana. Ha trascorso 16 anni nelle prigioni di Stato, una esperienza a proposito della quale ha recentemente scritto un libro. Uno studioso siriano rifiuta la descrizione di Yassin al-Haj Saleh come osservatore politico o analista e lo considera invece il vero storico della rivoluzione siriana. Di recente, Yassin ha scritto un breve saggio su Aleppo, una città con la quale aveva una storia intima. Con il suo permesso, l’ho tradotto. Il titolo “Aleppo: un racconto di tre città” è mio – Elie Chalala).
Ho vissuto ad Aleppo per circa sette anni, in due periodi separati da un intervallo di tempo di diciassette anni: la fine degli anni ’70 e la fine del ventesimo secolo.
Quella prima Aleppo era una zona depressa, pesantemente soffocata da una severa presenza politica e militare e da un micidiale sistema impersonale. Il regime tentava di insediarvisi come unica personalità decisiva dell’intera città. La quale città soffriva anche di sovraffollamento e di un rapido sviluppo senza una bilanciata crescita nei servizi, il tutto sotto l’influenza di una diffusa, crescente religiosità e l’intensificarsi di molti conflitti.
Come non-nativo residente ad Aleppo sentivo di non avere mai vissuto in un luogo così introverso. All’università formammo un eterogeneo gruppo di studenti provenienti da diverse parti della città, inclusi i territori limitrofi, e provenienti da diverse sette religiose inclusi i palestinesi.
E la città resisté all’infiltrazione del regime. Le sue università, i sindacati, gli attivisti politici e i gruppi religiosi erano i più attivi nell’opposizione al regime di Hafez al-Assad. Università escluse, l’opposizione era urbana e principalmente di Aleppo.
Aleppo fu conquistata nella primavera del 1980, quando tutti i gruppi all’opposizione furono annientati. Quel periodo segnò la fine di una vita culturale autonoma, la fine del libero dibattito nei campus, finanche nei cinema. Questa era la seconda Aleppo.
Come tutte le città siriane, Aleppo si stava preparando a diventare una città senz’anima ed impersonale.
La seconda città siriana è grande quanto Damasco, ma somiglia al resto della Siria: niente discussioni, niente cultura, niente politica, niente dimensione pubblica che permetta alla gente di vivere in comunione, niente religiosità sebbene tutto implichi una data religiosità.
Nella prima Aleppo, la mia zingaresca vita universitaria mi portò a vivere in sette diverse case, tutte in quartieri centrali mai nominati dalle stazioni satellitari che si occuparono di raccontare la rivoluzione. Nella seconda Aleppo, ho vissuto nel periferico quartiere di Sheikh Maksoud, abitato da arabi, curdi, mussulmani e cristiani.
Quando Hafez Assad morì nel giugno del 2000, i residenti dei quartieri centrali corsero ad approvvigionarsi di pane, scatolette e verdura, mentre le strade si svuotavano. Nulla di tutto questo accadde nelle zone periferiche, dove le vite degli abitanti raramente si intersecavano con le vite dei presidenti e con le loro morti.
La terza Aleppo, oggidì apertamente in rivolta, ha origini rurali e viene dalle zone più malfamate: Salahuddin, Alsakhur, Alklaseh, Bab Alhadid, Al Shaar, Al Zabadieh… Quasi come se questi quartieri avessero conservato il loro spirito e la loro identità, mentre le zone residenziali, causa la massiccia presenza dello Stato e di una religiosità importante e addomesticata, ne fossero privi.
Quando ha a che fare con lo spirito e la personalità di una città, un regime, infatti, si adopera per distruggerli e perseguitarne i fantasmi. E quando si sente in pericolo, uccide. Ha ucciso a Homs, a Deir ez-Zor e nulla gli impedirà di uccidere ad Aleppo se potrà farlo. Se vivrà la bestia inghiottirà la Siria intera.
Questo brano è stato liberamente tradotto dall’arabo da Elie Chalala con il permesso dell’autore. La versione araba è apparsa sul supplemento culturale As Safir. Traduzione e titolo italiano di Rina Brundu.
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And here follows the English version:
Aleppo: A Tale of Three Cities
By Yassin al-Haj Saleh Aleppo Castle(Yassin al-Hajj Saleh is considered one of the most important observers of Syrian politics. He spent 16 years in Syrian prison, an experience about which he recently wrote a book. One Syrian scholar rejected the description of Yassin al-Haj Saleh as a political observer or analyst and instead he considers him the ultimate historian of the Syrian Revolution. Recently he wrote a short essay on Aleppo, a city with which he had an intimate history. With his permission, I translated his contribution about Aleppo. The title “Aleppo: A Tale of Three Cities” is mine. –Elie Chalala)
I lived in Aleppo for about seven years, in two periods separated by about 17 years; the late 1970s and the late 20th century.
The first Aleppo was a depressed city, heavily permeated by a harsh political/security presence, and a deadly impersonal system. The regime sought to establish itself as the only decisive personality in the city as a whole. The city was also suffering from overpopulation, and rapid, expansive development without balanced growth in services, all influenced by increased widespread religiosity and an intensification of conflict.
As a non-native resident of Aleppo, I had never lived in a city that was so withdrawn. At the university we formed a mixed group of students coming from different parts of the city, including its countryside, and from different religions and sects, Palestinians included.
And the city resisted the regime’s infiltration. Its universities, trade unions, political activists, and religious groups were the most active in opposing the regime of Hafez al-Assad. Apart from the universities, the opposition was urban and mainly from Aleppo.
Aleppowas conquered in the spring of 1980, when all opposition groups were crushed. That era marked the end of an autonomous cultural life, the end of a relatively free debate on campus, and also of the cinema. This was the second Aleppo.
Like all Syrian cities, Aleppo was heading toward being soulless and impersonal.
Syria’s second city is as large as Damascus, but it is like all of Syria: no opinion, no culture, no policy, no public sphere in which people associate with each other, no apparent religiosity, although everything implies its religiosity.
In the first Aleppo, my nomadic college life led me to move between seven homes, all in central neighborhoods unmentioned by the satellite TVs covering the revolution. In the second Aleppo, I lived in a peripheral neighborhood, Sheikh Maksoud, inhabited by Arabs, Kurds, Muslims and Christians.
When Hafez Assad died in June 2000, residents of major neighborhoods rushed to stock up on bread, canned food and vegetables, and human traffic on the streets slowed down. But none of this happened in the peripheral areas of Aleppo where the lives of the inhabitants rarely intersected with the lives of presidents and their deaths.
The third Aleppo, the one now in open revolt, started from the rural parts and from the most marginalized slums: Salahuddin, Alsakhur, Alklaseh, Bab Alhadid, Al Shaar, Al Zabadieh…. As if these neighborhoods had retained their spirit and personality while the major districts had become devoid of them, with the state having sizable presence, capital and domesticated religiosity.
When it comes to the spirit and personality of a city, the regime exhausts itself trying to eliminate them and pursue their ghosts. When it feels endangered, it kills. It has already killed Homs, Deir ez-Zor, and nothing will deter it from killing Aleppo if it could. If left alive, this wild monster will kill all of Syria.
This is an edited translation from the Arabic by Elie Chalala. The Arabic version appeared in As Safir Cultural Supplement. Translation is by permission from the author..
This essay appears in Al Jadid, Vol. 17, no. 64
© Copyright 2012 AL JADID MAGAZINE
Featured image, quartiere cristiano di Aleppo, fonte Wikipedia.
Second picute, castello di Aleppo, fonte Al Jadid.