Magazine Cultura

Alessandro Grazian. L’ultimo dei romantici

Creato il 07 gennaio 2011 da Olga

Alessandro Grazian. L’ultimo dei romantici

Alessandro Grazian è un cantautore padovano affermato sebbene di nicchia. Cura interamente la produzione dei suoi album, seleziona i musicisti, scrive la musica, gli arrangiamenti e le parole. Nessuna delle cose che fa è improvvisata, se non le battute, che non fanno ridere (“Dopo Shakespeare, solo Morrissey”, nel generale silenzio degli astanti) ma che ce lo rendono simpatico.

Lo si vede aggirarsi per i locali padovani, a caccia di umanità da contemplare, possibile ispirazione per storie future.

Dopo 5 mesi di pausa dai live, suona il 14 gennaio alla Mela di Newton (tessera Arci), proponendo il suo vecchio repertorio (L’abito l’ultimo album, ascoltabile qui) e qualcosa di nuovo.

Prima di tutto perché, dopo 5 anni di tour continuativo, hai deciso di fermarti?

Mi sono bloccato per mettere a fuoco il mio percorso. Dopo 5 anni di live ininterrotti ho provato la sensazione di aver fatto un giro di boa, ovvero ho temuto che quello che stavo facendo non fosse più  creazione, ma un mestiere.

E a che cosa ti sono serviti questi mesi?

In primis ho focalizzato la mia energia su un’altra forma d’arte, la pittura. Ho realizzato dei ritratti prendendo i personaggi della musica italiana indipendente. Ho esposto il ciclo a Faenza e adesso lo esporrò a Milano. La pittura, a differenza della musica, si esaurisce quando hai finito l’opera; la musica invece ha un continuo dialogo col pubblico, ha un interlocutore.  Io creo, produco ed eseguo i miei pezzi, la pittura non prevede rimaneggiamenti, è un’ opera conclusa. E’ un’espressività più da dietro le quinte.

Parlaci dei tuoi album. Sono tre, no?

Sì. Il primo è Caduto, uscito nel 2005. Ci ho messo un po’ per pubblicarlo perché non è stato semplice trovare un’etichetta. E’ un disco acustico, intimistico, autoreferenziale. Pochi strumenti e una dimensione scarna.  Il secondo, Indossai, uscito nel 2008, è molto più corale, musicalmente articolato, anche da un punto di vista degli arrangiamenti.  Volevo costruire e riprodurre l’orchesrta e gli arrangiamenti anni 60. Per questo album ci  sono state 100 date.

Fino all’ultimo, L’abito, che sin dal titolo è in correlazione col precedente, Indossai.

Sì, sono 5 canzoni che presentano situazioni non di gioia, temi complessi: la dipendenza, il tradimento, la follia.

Hanno paragonato i tuoi testi a poeti come Gozzano e Montale, fino a che punto senti appropriate queste referenze?

Mah, diciamo che se ci sono dei riferimenti sono involontari. Io scelgo le parole in base sì, al loro significato e anche alla loro musicalità. Sono stato paragonato a Gozzano per una rima figli/stoviglie, ma in verità sono parole di cui mi sono servito come mezzo per esprimermi.

Un cantautorato studiato, di nicchia il tuo?

Spesso sono stato tacciato di un atteggiamento intellettuale e polveroso. Come uno di quelli che se la tirano o che necessariamente devono aver letto un milione di libri. Io leggo, a me piace leggere, ma questo non c’entra. Non cito per citare.

Testi malinconici, toni cupi

Devo dire che a me piacciono certi ascolti un po’ cupi, come The end di Nico, un’armonia di voce e rumore. Immaginari crepuscolari. Mi piacciono i testi che non svelano troppo.

In questo senso, forse, più che da un punto di vista referenziale, ti avvicini alla poesia: la pregnanza della parola, la scelta della musicalità, l’occasione non svelata (Montale).

Sì ma non in un senso che  i miei testi debbano essere aulici. Diciamo che le mie canzoni non hanno la leggerezza della pop music commerciale.

E a proposito di commerci, qual è il tuo rapporto con i soldi? L’arte e la sua vendibilità?

Onestamente ho difficoltà. Mi sono trovato nel mondo del’arte, diciamo, e ho avuto un brutto rapporto col denaro. Dagli albori, c’è sempre stata una dimensione legata al denaro. Io non lo vivo bene: in Italia non ci sono soldi per la cultura né per le istituzioni, né per il pubblico. La gente mi chiede se posso suonare gratis, e se chiedo un rimborso spese mi si dice: “Ma come, pensavo lo facessi per l’arte”. Inoltre, attualmente il mercato discografico è in un momento faticoso, i dischi non si comprano più. Ho come l’impressione che solo se hai le spalle coperte o santi in paradiso tu possa fare questo mestiere.  Io stesso lavoro part time come grafico.

Il punto è che così si disincentiva la creatività, lo studio, l’espressione di qualcosa di onestamente valido come quello che produci tu. L’arte ha bisogno di tempo.

Esatto. Infatti ho sempre accompagnato la mia attività con un lavoro part time per poter comunque continuare  a studiare e lavorare ai miei progetti.

La tua musica ha un fine politico?

Dipende da cosa intendiamo per politica. Io non faccio propaganda e non mi piace la musica politica. La mia musica ha comunque una funzione comunicativo –riflessiva. In incensatevi (L’abito ndr), c’è un linguaggio indiretto, ci sono due parti e non si capisce da che parte sto. Se vogliamo ecco, la mia è una politica dell’animo.

E questo significa che voti?

Certo che voto.

O forse, che vota animosamente (deve avermi contagiato con la battuta di Shakespeare)

O.M.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :