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Alessio I, i Peceneghi e la questione pauliciana 03 (di Mirko Pazienza)

Creato il 28 dicembre 2012 da Istanbulavrupa

Ora, il giovane Domestico Alessio Comneno doveva fronteggiare la minaccia
del più anziano ed esperto soldato Niceforo Briennio, il quale nella primavera-
estate 1078 controllava praticamente tutta la Romània balcanica, con un
esercito intorno ai 12.000 uomini, anch’essi esperti soldati.
Mentre Alessio Comneno poteva disporre solo di ciò restava delle truppe
anatoliche, come il piccolo nucleo di veterani Comatini, e gli ausiliari
Turcomanni selgiuchidi, in pratica le truppe fornitegli dal Botaniate, e
assieme a leve raffazzonate all’ultimo momento e inesperte, ammontanti nell’
insieme a non più di 5000-10.000 uomini.
A peggiorare le cose, si aggiunsero nuovi raids dei Peceneghi, i quali si
insediavano sempre più sulla sponda sudorientale romana del basso Danubio, nel
Tema provincia) del Paristrion/Paradunavon.
I Peceneghi qui fecero lega con i Pauliciani di Filippopoli a cui abbiamo
accennato prima.
Dopo esser stati trapiantati in massa a Filippopoli e dintorni, i Pauliciani
si erano rafforzati, ma probabilmente per almeno un secolo dovettero
sostanzialmente svolgere il compito secolare di truppe di frontiera, seppur con
entusiasmo e fedeltà altalenante.
Non sappiamo quale fosse il loro comportamento a partire già dal 1047-1048
durante i primi raids peceneghi nel Balcano romano. Raids, ricordiamolo non
meno DEVASTANTI di quelli condotti dagli affini seppur di recente
islamizzazione, Turcomanni in Armenia e in Anatolia.
E cronisti come Michele Attaliata (1030-35 c. – 1085-1100 c.) descrivono in
toni apocalittici tali incursioni.
E tuttavia nel 1078, all’epoca del pronunciamiento di Niceforo Briennio,
vediamo ritornare alla luce i pauliciani come RIBELLI, nella persona di un
certo Leka, il quale sposa una principessa pecenega e insieme ad un certo
Dobromir, forse un notabile bulgaro o valacco, con un’armata di 80.000 uomini
(stando a Scilitze e Attaliata), in maggioranza appunto incursori peceneghi,
devastano tutto il territorio tra le foci del Danubio a Nis. Leka uccise anche
il vescovo ortodosso di Serdica (Sofia) reo di esser rimasto fedele a Niceforo
III e aver incitato la popolazione della sua diocesi a non unirsi ai ribelli.
Leka si fortificò sul lato meridionale dell’Emo (Balcani) a nord di
Filippopoli, area in cui in un secolo dal loro insediamento in Tracia, i
Pauliciani erano dilagati, e dove li ritroveremo in seguito, durante i primi
anni di regno di Alessio Comneno e perfino ancora nei secoli XVII-XVIII!
Da questi aspri e boscosi contrafforti montani, il generale pauliciano
dirigeva i suoi ribelli, forse in un ambiguo appoggio a Niceforo Briennio.
Perché questa ribellione?
Forse lo sfaldamento dello stato romano, forse un rinnovato tentativo di
conversione alla Chiesa Ortodossa da parte del clero bizantino, forse gli
ambigui e sostanzialmente difficili rapporti tra il potere ortodosso romano, e
questa etnia armena, che dopo un secolo aveva mantenuto una straordinaria
compattezza etno-territoriale, e verosimilmente se non la lingua o il dialetto
armeno nativo, non si era romeizzata nemmeno linguisticamente, come alcuni
indizi ci suggeriscono e come vedremo in seguito.


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