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Alfa Romeo: la leggenda del Biscione

Creato il 19 dicembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

L’ad di FCA Sergio Marchionne ha scioccato il circus F1 dichiarando in un’intervista che l’Alfa Romeo potrebbe tornare alle corse. I nostalgici del Biscione possono esultare: dopo trent’anni esatti dall’ultima apparizione, la scuderia milanese potrebbe essere pronta a scrivere un altro capitolo della sua leggenda.

Sergio #Marchionne fa sognare i fan dell’@alfa_romeo! #SkyMotori pic.twitter.com/ir5sASFevV

— Sky Sport F1® HD (@SkySportF1HD) 14 Dicembre 2015

Le origini della Leggenda

La “Anonima Lombarda Fabbrica Automobili” nacque il 24 giugno 1910 dalle ceneri della Società Italiana Automobili Darracq. L’Alfa venne poi acquisita da Nicola Romeo nel 1915, formando il binomio storico. Nonostante le fortune alterne negli affari, il Biscione, che eredita il simbolo araldico visconteo, fu subito protagonista nell’ambito sportivo: in particolare la vittoria del primo campionato mondiale automobilistico organizzato nel 1925. La situazione finanziaria era sempre più precaria anche a causa della crisi del ’29 ma l’Alfa Romeo iniziava ad acquistare prestigio internazionale, quell’attaccamento romantico tipico degli amanti delle corse, grazie alla sapiente guida del progettista Vittorio Jano. Proprio grazie al prestigio ottenuto fu possibile salvare la società che dal 1933 divenne statale fino all’acquisto del gruppo Fiat nel 1986.

La nascita della Formula 1

Quando nacque la Formula 1 nel 1950 l’Alfa Romeo poteva vantare molti successi: Targa Florio, 24h di LeMans e Mille Miglia, tutte ottenute anche grazie a Tazio Nuvolari, uno dei piloti più vincenti ed eroici degli anni ’30. In quegli anni un altro pilota, tale Enzo Ferrari, fondò la sua personale scuderia partendo proprio dalle vetture del Biscione, che sostituì con il celebre Cavallino Rampante. L’Alfa si presentava così al più prestigioso campionato mondiale mai esistito sino a quel momento come una scuderia celebre per i suoi successi ma con pochissimi fondi: nella prima stagione furono usati tecnologie e materiali prebellici, a differenza dei colossi come Maserati, Talbot e la stessa Ferrari.

Il Motorsport, però, è una disciplina straordinaria che offre sempre una speranza a chi sa osare, così l’Alfa Romeo decise di puntare tutto sui suoi piloti: Nino Farina e Juan Manuel Fangio. A dispetto di ogni pronostico l’Alfa 158 vinse 6 gare su 7 valide per il campionato Mondiale: un successo insperato e schiacciante. A vincere nel 1950 fu Nino Farina, nel 1951 il Biscione fece bis con Fangio che sconfisse proprio la Ferrari con Ascari, costretto alla seconda piazza. Le vittorie di questi primi campionati furono il trampolino di lancio verso la gloria eterna per l’Alfa, una scuderia povera che per due anni riuscì a sovrastare potenze ben più avanzate. La favola, però, finì proprio all’apice della gloria: osservata l’ascesa delle altre scuderie, in particolare la Ferrari, l’IRI, ente statale proprietaria dal ’33, prese una decisione inaspettata e scioccante: l’Alfa Romeo avrebbe lasciato. L’abbandono prematuro del circus non fa che accrescere l’alone leggendario intorno a questa scuderia, ritiratasi all’apice del successo, ancora una volta bloccata dalle difficoltà finanziarie. Orfana della sua “madre”, come la definiva Enzo Ferrari, la Rossa di Maranello iniziò a scrivere il suo mito vincendo i successivi due campionati mondiali con Ascari.

Il ritorno del Biscione

Dopo dieci anni di assenza totale l’Alfa Romeo tornò in F1 fornendo motori a LDS, DeTomaso, McLaren e Brabham di Bernie Ecclestone, ma i risultati furono poco entusiasmanti. Il Biscione rientrò perciò come costruttore nel 1979 sotto la guida di Carlo Chiti, figura storica all’interno del reparto corse milanese. I risultati non furono mai neppure lontanamente simili a quelli ottenuti in quell’epico biennio, Andrea De Cesaris fu il pilota che più si avvicinò alla tanto desiderata vittoria con due secondi posti nella stagione ’83. Due anni dopo, nel 1985, l’addio che fino a pochi giorni fa sembrava definitivo.

L’Alfa è rimasta nel cuore dei tifosi per la sua storia travagliata, per il continuo oscillare tra gloria e oblio, una scuderia che ha fatto la storia delle corse con Nuvolari, Farina, Fangio, tutti piloti di un’altra epoca, piloti che sfidavano la sorte su vetture prive quasi di ogni sistema di sicurezza. Piloti capaci di imprese al limite della follia, come la vittoria di Nuvolari alla Mille Miglia su Varzi, quando Nivola spense i fari e rischiò la vita pur di non farsi vedere dal pilota in testa per poi superarlo nelle fasi finali. Proprio quest’aura di sacralità rende questo marchio uno dei più amati, nonostante i tanti anni passati lontano dalle corse. Forse sarebbe un peccato ritornare in F1, perché ogni volta che un’Alfa Romeo varcherà il paddock di un qualsiasi circuito avrà la responsabilità di portare un blasone pesante, un blasone che va rispettato ma che forse in ambito sportivo ha concluso quanto aveva da dare nel 1951, con quel ritiro così prematuro, all’apice delle sue possibilità, in un’epoca diversa in cui nel Motorsport anche i sogni più irrealizzabili potevano realizzarsi grazie al coraggio e allo sprezzo del pericolo dei piloti.

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