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Alfabeto napoletano - 3

Creato il 06 marzo 2013 da Ciro_pastore

ALFABETO NAPOLETANO - 3
ALFABETO NAPOLETANO - 3 Terzo appuntamento con la rubrica in cui vocaboli, verbi o proverbi della lingua napoletana sono utili per illustrare il tema del giorno in ambito politico, economico, sindacale o di costume sociale
"A nave cammina e a fava se coce" (trad. la nave naviga e la fava cuoce) Anche oggi, vi sottopongo una “perla di saggezza” della lingua napoletana. "A nave cammina e a fava se coce", si dice per indicare che gli affari vanno bene, anche senza un grande impegno da parte del beneficiario. Qualcuno dice che questa espressione derivi dal fatto che i nostri emigranti, costretti a un mese di navigazione, portassero tra le loro povere cose anche del cibo non deteriorabile, come appunto le fave secche che, durante le interminabili settimane di viaggio, mettevano a riscaldare sui vapori dei motori della nave. Oggi, anche questo modo di dire, come molti detti antichi, è fortemente in disuso. Ma anche questa frase, oltre ad avere un senso ed un significato ben preciso, nell’immaginario collettivo condensa un intero modo di affrontare la vita, diciamo che racchiude, in maniera fortemente evocativa, un’intera filosofia, spicciola forse, ma sicuramente molto utile ad affrontare i problemi e gli stenti quotidiani, a cui i napoletani sono storicamente e stoicamente avvezzi. Ma quando si usa questa frase? Di solito viene utilizzata per riferirsi a chi, con poca fatica, ottiene risultati - nella professione e nella vita in genere – ma senza dedicarvi particolari energie. In sostanza, è una sorta di atto di accusa verso chi, con opportunismo, trae indebiti benefici dal lavoro altrui o semplicemente da fortunate combinazioni di eventi. A volte, tale allocuzione può anche essere utilizzata per sottolineare che si sono tratti duplici vantaggi da un'unica azione, situazione che in italiano viene descritta con la famosa perifrasi “prendere due piccioni con una fava” (vedete che la fava c’entra sempre?) Tutto questo significato indiretto, nasce dalle presunte circostanze che sarebbero all'origine di questo icastico modo di dire. Infatti, si narra che tale frase nacque nel corso della prima ondata di emigrazione meridionale verso le Americhe, che si svolse a cavallo della fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. A bordo delle navi, sui famosi bastimenti a vapore, che trasportavano a milioni nostri concittadini costretti ad emigrare verso terre lontane e sconosciute. A bordo di quegli insicuri navigli, intere famiglie avevano come principale nutrimento dosi industriali di legumi secchi. Tra questi, ovviamente, prevaleva la zuppa di fave, visto che la fava secca, non temendo scadenze, non si avariava durante il viaggio. In altre parole, la fava secca, non solo era economica e nutriente, ma inoltre non creava problemi digestivi, come invece avrebbero potuto provocarli fagioli o ceci (per gli ovvi e a tutti noi conosciuti motivi). Unico problema il tempo di preparazione (davvero lungo) per cui era indispensabile trovare una fonte di cottura economica e, soprattutto, ampiamente disponibile. Ecco che qualche mente ingegnosa di contadino meridionale (scarpe doppie, cervello fino), trovò il modo per sfruttare il fuoco del carbone che alimentava le caldaie dei motori a vapore, per cui la zuppa di fava era cotta con la stessa fonte energetica che faceva camminare la nave, e da ciò nacque la frase in questione. E non è per nulla strano che una frase, così allegra e colorita, riesca allo stesso tempo a farci rivivere intensamente quella pagina triste della nostra storia nazionale: l'epopea dolorosa dell’emigrazione.  "A nave cammina e a fava se coce", per i nostri “nonni” emigranti verso l’ignoto rappresentava i lunghi tempi della traversata (qualche mese o più di viaggio per attraversare l'Oceano Atlantico), in cui tutti erano trepidanti per l'attesa di scoprire la loro “terra promessa”. Proprio in quelle lunghe giornate, dense di pericolo, i nostri antenati consumavano il loro povero pasto, ma si davano reciprocamente coraggio cantando malinconicamente "Santa  Lucia luntana”. Ecco che i nostri disagi odierni – nemmeno lontanamente paragonabili a quelli dei migranti di allora – acquistano un diverso significato che deve spingerci a rivalutarli nella opportuna dimensione. Altrimenti, non ci accorgeremmo che spesso potremmo essere anche noi additati di essere involontari ma inconsapevoli fruitori di un sistema in cui, nonostante tutto "a nave cammina e a fava se coce", per cui non ci resta che intonare in coro: “Santa Lucia, luntana a te, quanna malinconia…” Ciro Pastore Il Signore degli Agnelli
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