Angelino, ormai, non ha più scelta. Con lui o contro di lui. Dovrà scegliere se diventare leader del centrodestra che Berlusconi ha ideato e creato, oppure se vorrà affrancarsi da questo, lasciarlo nelle grinfie del voto palese del Senato e comandare una compagine che, al momento, ha tanti volti noti ma pochi voti reali. Magari spostata al centro.
Eterno delfino in cerca di vendetta
La decisione del delfino designato non è semplice. È umanamente legato al suo Capo, al quale deve tutta la sua carriera politica. Grazie a lui è diventato Ministro della Giustizia (senza peraltro sfigurare), per sua nomina è diventato segretario del partito più votato dagli italiani. Ma quel ruolo non l’ha svolto secondo le aspettative di molti. Ora, non è imputabile direttamente ad Angelino la sonora batosta del Pdl alle ultime elezioni in quanto a numero di voti, ma non può nemmeno ignorare le accuse che gli sono state riservate. Dove ha sbagliato? E’ stato troppo remissivo e poco incisivo, così gli elettori non si sono immedesimati in lui. E per un partito fondato sul carisma ciò vuol dire molto. Per questo Berlusconi si è ricandidato e l’idea di passare di colpo dall’essere la punta di diamante del centrodestra italiano a “uno senza il quid” deve aver segnato Alfano. È in realtà tempo che pare vivere un forte contrasto interiore. Seppur abbia sempre dichiarato che “Berlusconi è il leader e ha tutto il diritto di candidarsi come e quando vuole”, veder sfumare delle primarie che lo avrebbero spinto verso la candidatura a Palazzo Chigi non l’ha certo entusiasmato. Da qui è nata la voglia di una piccola rivincita, ed ha trovato l’occasione propizia proprio nella vicenda della sfiducia al Governo Letta. Alfano ha tirato fuori il quid o ha sballato completamente i calcoli? Quanti elettori berlusconiani saranno disposti a seguirlo?
Il rinnovamento mancato
Quando nel Pdl si parlava di primarie sembrava a molti fosse il primo segnale di una crescita politica del centrodestra italiano. Berlusconi, che ne dica lui o il suo medico, non è immortale. Inoltre, se prima i bookmakers avrebbero pagato poco lautamente una scommessa sulla morte fisica prima di quella politica, a pochi giorni dal voto sulla decadenza al Senato appare quanto mai vicina la trasformazione del ruolo di Berlusconi sulla scena politica italiana. Non scomparirà, ma non potrà più farne il buono ed il cattivo tempo.
Quel principio di rinnovamento, però, non trovò seguito. Alfano venne accusato di non aver avuto coraggio e di aver subito ancora una volta la sudditanza al Capo di cui sembrava schiavo. Inoltre, l’incredibile rincorsa del Pdl al Pd alle urne ha evidenziato senza ombra di dubbio come l’unica macchina-acquista-voti a destra sia Berlusconi Silvio (difficilmente Marina o Barbara sapranno fare lo stesso). Così Angelino ha cavalcato l’onda delle colombe, ne è diventato guida e sembra aver finalmente trovato la dimensione di leader che gli mancava. Eppure, dicevamo, potrebbe aver fatto un errore che gli costerà caro.
Oltre o contro Berlusconi?
Al centrodestra serve rinnovamento sì, ma non pensionando il Cavaliere in questo modo. Alfano doveva riuscire a portare il Pdl oltre Berlusconi, non contro. L’elettorato berlusconiano ha storicamente messo la croce su un nome e non su un simbolo che – come si è potuto notare – è facilmente disposto a cambiare in base all’umore del proprio leader. Angelino non è stato capace di elevarsi sulle spalle di Silvio e ha tentato la carta dell’allontanamento. Una mossa già provata e mal riuscita da altri. Difficilmente riuscirà a ritrovare l’unità di un centrodestra dalle mille anime (ex fascisti, ex socialisti, ex Dc e i vari “scillipotiani”) e, soprattutto, è improbabile che ricalchi i successi elettorali degli ultimi 20 anni. Quando gli rinfacceranno: “tutta colpa tua che hai pensionato troppo presto Silvio”, cosa risponderà?
Giuseppe De Lorenzo