Alfie è decisamente incentrato sul suo protagonista e sul suo fascino un po' compassato, sulla sua presenza spiccia e giocherellona, quasi infantile, in scena (che solo in parte viene ripresa nel remake recente di Charles Shyer con Jude Law). Nella sua fondamentale irresponsabilità (Alfie non vuole fare del male, se non c'è bisogno; non vuole ferire il marito delle sue amate e così via), il protagonista conferma la sua sostanziale inettitudine quasi sempre vincente a breve termine, in una società di inetti destinati a fallire, tutti e comunque. Alfie non va mai fino in fondo, delle donne conosce solo il piacere che gli danno, le sceneggiate a cui è pronto, ma il dolore no, non è quello il suo campo. C'è un baratro tra don Giovanni e l'amore, tra il seduttore e il sentimento.
Per questo è un bene che al centro di Alfie stia l'irriducibile Michael Caine, su di lui si fonda il film e l'attore vi sperimenta alcune soluzioni che i suoi fan ritroveranno in titoli posteriori parecchio più noti. Accanto a lui, le sue donne - Ruby (Shelley Winters), Siddie (Millicent Martin), Gilda (Julia Forster), Annie (Jane Asher), Carla (Shirley Anne Field), Lily (Vivien Merchant), perfino la dottoressa (Eleanor Bron) - sono tutte brave, ma coinvolte solo quel tanto che basta, talvolta al limite della macchietta, per definire un personaggio e una morale a loro quasti estranea. Alfie è senz'altro punitivo e non indica via d'uscita per il seduttore, è una frusta che ne castiga l'irresponsabilità e il cauto sgomento, contro l'audacia titanica e tutta romantica che era sprofondata all'inferno nel Don Giovanni di Mozart.