Oppure il primo giorno di scuola, con mio papà che per scherzare si era messo al banco e aveva fatto finta di incastrarsi e tutti ridevano e io con loro.
Ma prima, il 10 di giugno del 1981, tra l'asilo (si chiamava così allora) e le elementari, un bambino era caduto nel pozzo. E si chiamava Alfredo Rampi, Alfredino.

Ancora mi turba questa foto.Ricordo perfettamente di essere rimasta impietrita davanti alle immagini. Ricordo di non aver capito bene cosa fosse successo. Questa foto continuava a passare e io pensavo che ehi, quel bambino ha la canottiera come la mia, blu a righe bianche, aderente. Ricordo una mamma china per terra che parlava e la voce debole di un bambino che aveva sete o fame, non so. Non capivo cosa aspettassero per farlo uscire da lì. O forse avevo paura di capirlo.Ricordo che improvvisamente capii che la tv raccontava una storia vera, che nulla era finzione e che io guardavo nel buco esattamente allo stesso modo dei curiosi che passavano di lì. E anche questo mi fece paura.Ricordo di aver pensato che quel bambino aveva la mia stessa canottiera bianca e blu, aveva i capelli come i miei, e anche le braccine magre, le ossa sotto il collo che si vedevano sempre nelle foto. Ero un po' io quel bambino caduto nel pozzo perché forse, oggi lo penso e non allora, è proprio vero che una cosa che accade ad un bambino, accade a tutti i bambini. Eravamo lì, in molti, a fare il tifo per lui e io l'ho sognato quel bambino per anni e anni. Ad un certo punto, probabilmente per aiutarmi, ho cominciato a vedere Alfredo come il protagonista sfortunato di una favola con la morale e per anni e anni ho avuto paura di correre su un prato, paura di cadere in un pozzo e di non uscire più.Adesso ho 35 anni e penso al coraggio della madre e mi ammutolisco e m'inchino.Alfredo era nato, come me, nel 1975.
