Il testo d’inizio di Na folia nt’è falacchi (un nido nel fango) di Alfredo Panetta (Edizioni CFR 2011, pp. 88, € 10), ci dice giá di una practica della conoscenza,”Riesco a distinguere lontano dieci metri…distinguo…avverto…so…capisco…”, tutta incentrata su un fare, su un pensiero concretissimo, sulla conoscenza delle cose, delle persone, delle bestie – esempi che, certo, non possono abitare le città ma prima di tutto il ricordo vivissimo di una conoscenza trasportata nel presente, contro ogni favola, però, ogni restaurazione.
Si tratta di cogliere il senso di un essere che si cerca “cu sugn’eu ammata no’ mparà” (chi sono io, non ho ancora imparato), che forse non ha ancora trovato la propria ragion d’essere malgrado i figli, il lavoro, il riscatto sociale.
Questo leggero spaesamento, però, con la naturalezza di esser parte di un vasto regno naturale in cui il rapporto con Dio non é mediato dalle categorie teologali ma da un dialogo/scontro di natura pratica, dipendente dal risultato di un certo essere/avere, che include anche la bestemmia come momento privilegiato della dialettica.
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