Pisa – Lungarno oggi
Una luce violenta mi abbagliò. Ero arrivato presso i Lungarni. Bars, buvettes cinematògrafi con le solite proiezioni deformi o grottesche, caffè all’aperto, gran folla, gran luce elèttrica. Mi accostai al parapetto del fiume e vi rimasi finché l’ultima luce rossa del tramonto, sospesa su le acque, disparve.
Al mattino mi levai presto, e andavo lungo le rive dell’Arno. Il mattino rugiadoso tremava di un palpito di giovinezza. La riva dell’Arno era deserta in quell’ora, e mi si animò per una fantasia d’altri tempi. Una cavalcata orgogliosa risale le sponde dell’Arno: Lord Byron, la Guiccioli, la leggiadra contessa, poi altri gentiluomini, poi il corteo dei servi in gran contegno. Dall’alto dei lucidi palafreni quegli stranieri guardano l’umile gente, guardano le onde cilestrine del fiume, memore delle glorie di Pisa. Ma ora, Rule Britania, Le galee di Pisa non ci son più. Britannia impera sull’onde.
Giorgio Byron, pallido orgoglioso poeta britanno! Peregrinava per le città già imperiali d’Italia: Venezia, Ravenna, Pisa, che allora erano le città del silenzio. Vìvono i santi e i martiri sui mosaici d’oro a Ravenna e vìvono i pini in Ravenna; scintilla cilestrina l’acqua dell’Arno. Ma l’Italia è nelle sue grandi arche marmoree. Quante arche all’aperto, fra gli sterpi, in Ravenna ! Napoleone è morto a Sant’Elena, il tricolore è stato sepolto anche lui. Sull’Italia ora è stesa una dura, bianca assisa austrìaca: il papa benedice la morte d’Italia. E allora discesero in questa patria i giovani poeti oltramontani, figli delle lor patrie potenti.
Venivano ad inspirarsi visitando le belle regine morte : Roma, Venezia, Ravenna. Quale voluttà! Avevano seco le belle loro arpe romantiche, e questo cimitero d’Italia era quello che ci voleva per riportare in patria gloriose canzoni. Quali tocchi alle loro arpe romàntiche ! E bello, con inanellata la chioma, azzurre le pupille, venne Lord Byron e chiamò l’Italia: « Nìobe delle Nazioni ».
A Venezia le belle donne, dai nomi dogali elevavano troni a lui, per lui degnamente accogliere. A Ravenna, quasi staccata dalla processione delle spiritali martiri esangui, nel musaico d’oro di Sant’Apollinare, venne a lui incontro Teresa Guiccioli, la contessa. Ma ella era tutta di carne, era tutta palpitante, e ti si disciolse fra la braccia.
Sentisti tu, o poeta, nell’allacciamento di lei la voluttà come se la morta Nìobe rivivesse e ti baciasse in premio della pietà che tu avesti per lei?
La morta Niobe rivivrà!
Pineta di Dante, pineta del Boccàccio ! Batte il mare ai tuoi màrgini, e il cielo vi trasporta, al tramonto, fulgori orientali, e allora le chiome dei pini si colorano di sangue. Le martiri in fila hanno un insensìbile moto di vita : dall’abside azzurra di Santo Apollinare in Classe, Cristo, possente e giovane, pare in atto di levarsi e dire : « Risorgerà! La morta Niobe rivivrà!».
Quale amore, o Giorgio Byron!
Ma poi tutto si fa cupo e sanguinoso : prima è il rogo del poeta Shelley, da te acceso, o Giorgio Byron, in fàccia al Tirreno; poi è la tua giovane morte, eroica, come un’espiazione, a Mìssolungi.
Come in un’antica tragedia! Perchè tu, felice poeta, rìcercasti la tua morte?
E allora mi venne incontro un’imagine evanescente, quella della tua bimbetta, o Giorgio Byron, che tu avesti da altra donna, e che tu quasi abbandonasti in un convento di Romagna.
Di lei più nulla si sa, più non si parla, e pure mi pareva che la sua imagine mi venisse incontro di là dove agli innocenti si risponde.
Quale strano nome tu le imponesti! Ma era un nome Italico: Gaja? Letìzia? Alba? Allegra? Si, Allegra, tu la chiamasti così: ma ella morì da te lontana, e aveva cinque anni, in quel convento di Romagna. Morta la tua piccola gaiezza ! morta la tua letìzia, la bimbetta tua! Perchè è morta! e di qual male è morta? e dove adesso ella, è?
Le monache di quel convento la chiamavano la fìglia dell’inglese, e questo è quello che esse ricordano di lei : «aveva gli occhi azzurrri, i capelli neri, le manine affusolate. Aveva nome Allegra, ed era fìglia dì Lord Byron. Era buona e gentile ed era la nostra grazia. È morta, non sappiamo di qual male. E’ morta. E poi che ella fu morta, venne un uomo di terra lontana, alto della persona, coi capelli inanellati e gli occhi azzurri. Si sentirono forti grida nel monastero. Milord piangeva perchè era morta la sua creatura. Fu composta in una ghirlanda di fiori, fu deposta in una tomba, e il padre incise il motto: «Io andrò a lei, ma lei non tornerà a me».
Non so perchè una gìoja di pianto allora mi ravvolse. Mi pareva che veramente ci fosse il paradiso per gli innocenti: e la pìccola inanellata Allegra io la vedevo che si sollevava ridente sopra le monache morte ; ella diceva : « Io sono la pìccola Ifigenia!».
E fu dopo di allora che il poeta corse alla sua morte. Certo tu non l’hai lasciato per iscritto, o poeta, perchè soltanto alla morte e non alle muse si confidano le parole supreme.
Pisa – Lungarno – Ponte di Mezzo
Le acque dell’Arno correvano continuamente; e altre parole supreme mi vennero incontro. Perchè fu a Pisa che la lettera del padre Monaldo Leopardi raggiunse il figlio Giacomo. A Giacomo Leopardi nessuna venustà della persona, nessuna voluttà, nessun onore in vita! Giacomo Leopardi aveva fuggito il padre e la gran casa di Recanati, come una maledizione. Ora egli dimorava in Pisa, e qui lo raggiunse quella lettera del padre Monaldo, scritta da Recanati, il 16 maggio 1828, che gli annunciava come l’angiolo della morte era passato sopra la sua casa, inalberando lo stendardo del pianto. Era morto Luigi, il giovane fratello di Giacomo. Diceva Monaldo: la morte spezzò la corona delle giovani olive che erano l’allegrezza e il decoro della paterna mensa!
Quali parole ! Allegrezza, giovani olive, paterna mensa ! Che cosa era in confronto la gloria ricercata dal figlio? Egli cercava la gloria e la sapienza, e incontrava sempre la vanità. Quello e non altro che gli scriveva accoratamente, timidamente suo padre in quella lettera : Giacomo mio, salviamoci. Tutto il resto è vanità! Forse quel salviamoci può sembrare grottesco; ma fu destino del conte Monaldus de Leopardis, in parrucca e spadino, già nel secolo XIX, parere grottesco; eppure se il padre e il figlio furono divisi nella vita, io li vedevo congiunti nella morte.
Tutti morti nella giovinezza, Byron, Shelley, la pìccola Allegra, Leopardi: ma una imagine perdurava nella vita: impinguava, deformemente impinguava, Chi? La contessa Guiccioli!
C’è il barone Hubner che nelle sue memorie parla di una decrepita dama alle Tuileries, obesa e semi-idiota, a cui però tutti rendevano onore di curiosità, perché era stata l’amante di Byron.
( Alfredo Panzini, Viaggio di un povero letterato, pag.119/125 – Fratelli Treves Editori, 1920 )
43.722839 10.401689