Un articolo che ripropongo ogni anno. Tutto cominciò in quel lontano giorno di giugno.
Sono passati trentaquattro anni da quel 13 giugno del 1981. Una tragedia personale e familiare, quella di un bambino di sei anni morto in un pozzo dopo tre giorni di agonia, trasformata dalla televisione in una tragedia collettiva, che tenne per 18 ore l’intero paese inchiodato davanti ai teleschermi che trasmettevano a reti unificate la diretta dell’avvenimento.
La cronaca di quella tragedia, che permise a decine di milioni di Italiani di seguire minuto per minuto i vani e, secondo alcuni, maldestri tentativi di salvataggio, si trasformò in un evento mediatico senza precedenti che rappresenta il modello di quella che sarebbe diventatala TV del dolore e dell’orrore.
A cose fatte, in molti deprecarono l’accanimento morboso dimostrato dalla televisione in quella circostanza e l’atmosfera da baraccone che si respirava intorno alla scena della tragedia, con tanto di venditori di bibite e cibarie che si precipitarono lì per rifocillare la massa di curiosi che non si contentavano delle immagini televisive e volevano essere, a loro modo, protagonisti della vicenda, sfruttando l’opportunità di essere immortalati a loro volta dal magico occhio della telecamera. Un misto di voyeurismo ed esibizionismo mediatico senza precedenti che era destinato a fare scuola.
Sembrava di essere tornati indietro di trent’anni, alle immagini di un film di Billy Wilder: “Ace in the Hole” dove si narra di un losco giornalista che si accaparra l’esclusiva di un incidente minerario e, per sfruttare sino in fondo l’opportunità professionale ed economica che gli è capitata, ritarda con mille sotterfugi i soccorsi che avrebbero potuto salvare la vita a un disgraziato bloccato da una frana in una cava.
Un’oscura cittadina della estrema provincia americana diviene così il centro dell’interesse nazionale e attira carovane di curiosi che alla morte del disgraziato, finito lo spettacolo, smontano le loro tende e se ne vanno con estrema indifferenza, l’indifferenza di chi ha la lacrimuccia facile ma rimane intimamente estraneo al dramma del protagonista ed è mosso non tanto dall’umana condivisione della sua sofferenza quanto da una malsana curiosità.
Quella malsana curiosità che oggi alimenta, e allo stesso tempo è da esso alimentata, un certo tipo di programmi televisivi, che sfruttano cinicamente i più aberranti episodi di cronaca nera, senza alcun rispetto per le vittime e per le loro famiglie che, ahimè, si rendono talora esse stesse complici del baraccone mediatico.
Un cinismo che è il frutto della corsa all’audience e della malcelata volontà di contribuire, insieme al resto della zavorra televisiva, a sciacquare i cervelli degli Italiani, facendo presa sui facili sentimenti e distogliendoli dal pantano morale nel quale annaspiamo.
Un pessimo esempio di giornalismo, un oltraggio alla deontologia professionale, che non si contenta di scavare morbosamente nel lerciume ad uso e consumo di un sempre più avido spettatore, ma arriva al punto di comunicare brutalmente a una madre, in diretta, il ritrovamento del corpo straziato della figlia. Non solo deontologicamente scorretto, ma semplicemente disumano.
Di fronte a questi orribili eccessi, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti è recentemente insorto, con un documento che stigmatizza il comportamento scorretto dei colleghi responsabili, minacciando sanzioni disciplinari nei loro confronti.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’orgia televisiva di sesso e sangue è in pieno svolgimento e il voyeur televisivo ha solo l’imbarazzo della scelta fra le emittenti pubbliche e private che fanno a gara nell’ostentare i particolari più grandguignoleschi.
Federico Bernardini
Illustrazioni: Sandro Pertini con Elveno Pastorelli all’imboccatura del pozzo
Locandina del film “Ace in the Hole”