Alì.
E’ pachistano, vive in Italia da 7 anni, non so quanti anni abbia ma è giovane, la famiglia che ha lasciato in Pakistan sono i suoi genitori
Gli tremano le mani mentre beve il caffè, di imbarazzo, agitazione, preoccupazione.. non so. Sorride mentre mi dice che gli italiani qui, a Faenza sono gentili, la mia famiglia è gentile. “Gli italiani non sono gentili, non è così“: scuoto la testa con amarezza. Se la mia è una reazione sincera, o forse un’autoaccusa, certo non gli è d’aiuto. E’ venuto a chiedere lavoro, come tutti, è venuto per capire come mai il capocantiere non lo chiama da due giorni e non risponde alle sue chiamate. Ha paura di esser stato licenziato. Io so solo che i lavori sono fermi da due giorni e ci resteranno per un’altra settimana, nient’altro. Mi racconta quello che ha fatto in questi anni: il muratore, l’imbianchino, il meccanico, l’operaio in una fabbrica che è fallita… mi racconta che prende poco perchè non è bravo, sta ancora imparando… non mi racconta la sua preoccupazione, ma gliela si legge in faccia. Ha paura di essere stato piantanto in asso senza che nessuno glielo abbia detto. Chissà quante volte gli è capitato.
Mi chiede scusa perché parla male italiano. Mi chiede scusa… penso a quanti anni sono che in Italia vivono persone di qualunque nazione e noi non ci scusiamo certo per non aver nemmeno mai pensato di imparare a dire ciao nelle loro lingue. Non chiediamo certo scusa per non aver nemmeno mai voluto conoscerli, non ci scusiamo per aver scelto di ignorali, di non considerarli, di passare oltre. Non chiediamo scusa per le parole dette contro di loro, le ingiurie o chissà che altro…
Mi dice che non ha mai studiato, non è andato a scuola al suo paese… e io che ho studiato 20 della mia vita! Vedo l’errore in cui mi sono crogiolata ogni volta che mi è passato per la mente il pensiero che siamo uguali, di quell’Uguaglianza universale e singolare e impersonale di cui è piena la propaganda per i diritti con la D maiuscola. Non è così. Se così fosse, nell’assurdo di questo mondo civile, nell’ingiustizia politica di questo paese, sarebbe comunque giusto trovarsi entrambi senza futuro, senza lavoro, senza certezze. Invece non lo è, servirebbe solo a me a pulirmi la coscienza in qualche modo, scaricando la colpa sui soliti luoghi comuni, e facendoci entrambi pedine di un qualche destino: “mal comune, mezzo gaudio”. Ma non è così! Io sono italiana, lui no. Sono parole che non significano niente eppure dicono tutto!
Non significano niente: siamo esseri umani, vogliamo un lavoro perché vogliamo dignità e i mezzi per farci una vita… questo non può restare solo un concetto, un’idea impersonale!
La vita: quella che lui mi dice “è la tua vita, non fregare degli altri, loro parole non importa.” E’ da stronzi, no? ottenere consolazione da chi non ha niente. Mi guarda quasi con gratitudine, perchè gli offro un caffè, come se questo potesse consolarlo dal fatto che io certo non posso dargli un lavoro. Se ne sta a girare il cucchiaino nella tazzina e trema, e gli si vede l’anima camminare sul filo del rasoio, avanti e indietro senza sapere dove andare, se rassegnarsi a cercare altrove o sperare nelle promesse ricevute. Sorride e mi saluta, e vuole che vada a trovarlo quando passo per Faenza, e si capisce benissimo che se c’è un universale singolare che ci accomuna qui, ora, in questo paese, si chiama Solitudine.