Un bell'avvio silente, denso di concentrati preparativi all'azione e meticolosi controlli del piano: equipaggiamento, tute, passamontagna, trapani, viti e bulloni per montare i pannelli che andranno a isolare acusticamente la stanza in cui, si capisce, la vittima sarà tenuta prigioniera. L'ambientazione è curata e le musiche tengono desta l'attenzione e quando finalmente scatta il sequestro tutta la tensione accumulata nei primi secondi della pellicola persisterà (salvo qualche scivolone perdonabile) sino all'ending finale. Ottimo esordio dietro la macchina da presa per J Blakeston con La scomparsa di Alice Creed, un thriller claustrofobico e ben congegnato tirato su veramente con due lirette (e con soli tre interpreti, tra l'altro molto bravi e in parte). La vittima incatenata al letto e i due aguzzini disposti a sbranarla diventano i protagonisti di un sottilissimo gioco psicologico, mai scontato e decisamente credibile, per architettare il quale il giovane cineasta inglese sceglie di mostrare in maniera cruda il disagio della carcerazione, facendoci vedere scene che spesso questo genere di film relega all'ellissi o al sottinteso, come l'espletamento delle funzioni corporali della rapita o la noia dei sorveglianti. Ma la vera chicca del lungometraggio sono i reiterati i colpi di scena, alcuni invero debolucci ma perlopiù sinceramente sorprendenti!S'imprimono nella memoria gli squallidi interni in cui la vicenda si srotola nonché la personalità dei due criminali, biechi e miserabili nelle loro aspirazioni elementari d'amore e ricchezza facile che nascondono in realtà una solitudine vertiginosa, quella sì, davvero urticante e spaventosa. Omaggi chissà quanto consapevoli a Trainspotting, con la tazza del cesso del rifugio a tu per tu col giovane rapitore - anche se in scene tutt'altro che visionarie rispetto all'originale - ma che non mancano di suscitare un certo disgusto. Vera sorpresa è la bella Gemma Arterton, caspita, davvero brava a tener la scena distesa per tutto il film come un Cristo di Mantegna. Opera degnissima girata con mano felice, consigliata a chi ancora pensa che il cinema abbia bisogno di vagonate di dollari per regalare emozioni.
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Un bell'avvio silente, denso di concentrati preparativi all'azione e meticolosi controlli del piano: equipaggiamento, tute, passamontagna, trapani, viti e bulloni per montare i pannelli che andranno a isolare acusticamente la stanza in cui, si capisce, la vittima sarà tenuta prigioniera. L'ambientazione è curata e le musiche tengono desta l'attenzione e quando finalmente scatta il sequestro tutta la tensione accumulata nei primi secondi della pellicola persisterà (salvo qualche scivolone perdonabile) sino all'ending finale. Ottimo esordio dietro la macchina da presa per J Blakeston con La scomparsa di Alice Creed, un thriller claustrofobico e ben congegnato tirato su veramente con due lirette (e con soli tre interpreti, tra l'altro molto bravi e in parte). La vittima incatenata al letto e i due aguzzini disposti a sbranarla diventano i protagonisti di un sottilissimo gioco psicologico, mai scontato e decisamente credibile, per architettare il quale il giovane cineasta inglese sceglie di mostrare in maniera cruda il disagio della carcerazione, facendoci vedere scene che spesso questo genere di film relega all'ellissi o al sottinteso, come l'espletamento delle funzioni corporali della rapita o la noia dei sorveglianti. Ma la vera chicca del lungometraggio sono i reiterati i colpi di scena, alcuni invero debolucci ma perlopiù sinceramente sorprendenti!S'imprimono nella memoria gli squallidi interni in cui la vicenda si srotola nonché la personalità dei due criminali, biechi e miserabili nelle loro aspirazioni elementari d'amore e ricchezza facile che nascondono in realtà una solitudine vertiginosa, quella sì, davvero urticante e spaventosa. Omaggi chissà quanto consapevoli a Trainspotting, con la tazza del cesso del rifugio a tu per tu col giovane rapitore - anche se in scene tutt'altro che visionarie rispetto all'originale - ma che non mancano di suscitare un certo disgusto. Vera sorpresa è la bella Gemma Arterton, caspita, davvero brava a tener la scena distesa per tutto il film come un Cristo di Mantegna. Opera degnissima girata con mano felice, consigliata a chi ancora pensa che il cinema abbia bisogno di vagonate di dollari per regalare emozioni.
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