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Ma è la vera Alice?
Questa è indubbiamente la domanda basilare del film e da qui può prendere le mosse questa recensione. La ragazza diciannovenne che arriva nel paese delle meraviglie non è Alice.
Anche se il film racconta – mediante evitabili e didascalici flashback – proprio il contrario: la ragazza è la vera Alice, è solo cresciuta e ha ormai dimenticato la sua prima visita nel Paese delle meraviglie. Un espediente alla “ Hook” vent’anni dopo.
Ma io continuo a ripetere che questa non è Alice.
Così come questo non è il Paese delle meraviglie.
Così come questo non è il bianconiglio.
Così come questo, soprattutto, non è Tim Burton.
Chiariamoci, sono un amante del suo cinema immaginifico, ho sempre trovato eccezionale e unico il suo modo di costruire mondi straordinari, di avere quel tocco, quella autorialità – perché Tim Burton è uno dei pochi veri Autori contemporanei – che gli permette di costruire un’atmosfera perfettamente riconoscibile a ogni sua nuova opera. Figlio di una certa letteratura gotica, a metà strada tra Edgard Allan Poe e la sofisticata ironia della Famiglia Addams, tra le invenzioni artigianali di Georges Meliès e i chiaroscuri dell’espressionismo Tedesco – in tutto il suo cinema fino ad oggi ha mantenuto una coerenza stilistica/narrativa ineccepibile, tanto che si riusciva a rintracciare nell’indimenticabile cortometraggio in stop-motion “ Vincent” il compendio di una filmografia, di un’arte e di uno stile. Con una coerenza unica aveva portato avanti il suo mondo popolato da freaks, da creature con le forbici al posto delle mani, da registi appassionati ma assolutamente privi di talento, da spiritelli porcelli e barbieri tagliagole. Dunque si è sempre mosso all’interno di una sua personale Gotham City, e, per di più – ed è la cosa più difficile – è riuscito a creare un tipo di ironia dark, di cattivo gusto, che gli ha permesso di sviluppare una poetica straordinaria, ora struggente, ora eccentrica, ora ribelle, ora demenziale, con un fascino particolare per l’outsider e per l’inconsueto.
E’ questo che più apprezzo in un’artista: la coerenza nella sua poetica. Per carità, ho visto anche film di Tim Burton particolarmente sottotono: su tutti penso a “ Il pianeta delle scimmie”, tributo/remeake dell’indimenticabile classico di fantascienza con Charlton Heston protagonista, il punto più basso della filmografia di Burton fino ad “ Alice”. Tuttavia è consentito a un autore sbagliare dei film, purché esso sia coerente al suo mondo poetico, pur con qualche variazione sul tema.
Il peccato non è sbagliare un film, il peccato è sovvertire il proprio mondo. Quella diventa incoerenza.
Sono rimasto infastidito da “ Alice in wonderland” non tanto perché sia un film mal riuscito, ma sovente perché non è un film di Tim Burton.
Non si sente nemmeno l’ombra di Tim Burton.
Probabilmente – non lo nego – se una persona che non conoscesse Burton e vedesse “ Alice in wonderland” potrebbe rimanerne divertito, ma se lo conosciamo, e lo apprezziamo, è impossibile non rimanerne terribilmente delusi, specie per il fatto che non riusciamo a riconoscerlo: da un punto di vista narrativo, registico, ma anche fotografico.
“ Alice in wonderland” dunque non è un film di Tim Burton, ma di chi è allora? E’ un film coloratissimo targato Disney, e lo si nota a caratteri cubitali. Lo si nota nell’ironia spicciola e infantile, nella caratterizzazione dei personaggi che ricadono facilmente nella settorialità del primo cinema Disney, lo si nota nell’happy end e nella diabetica morale finale, e lo si nota perfino nella vacua personalità del personaggio di Alice. Burton ci aveva abituato a ben altro, ma anche la Alice di Carroll non era questa Alice. Badate bene: continuo a sostenere che spesso non c’è niente di più dannoso per la critica cinematografica che paragonare un film al romanzo da cui è tratto. Si tratta indubbiamente di due linguaggi completamente diversi, che è impossibile giustapporre a un livello narrativo: che senso avrebbe farlo dal momento che le immagini prendono il posto della parola? Per quanto mi riguarda un film non deve essere un tentato doppione del libro, dev’essere una reinterpretazione del libro, anzi, ancora di più: il romanzo – inteso unicamente nei suoi elementi narrativi – deve fungere da punto di partenza, un punto di partenza da cui è doveroso prendere le distanze. Ma c’è una cosa che non deve sopperire nella reinterpretazione – che non è trasposizione – di un libro al cinema: l’atmosfera. Non si dovrebbe ricercare nel film l’identica successione di eventi del libro, bensì l’autenticità del suo mondo. Dunque se reputo sterile e inutile aprire una discussione sulla fedeltà del film di Burton nei confronti dell’opera di Carroll, trovo utile confrontarli e giustapporli a livello di atmosfera. Trovo che l’atmosfera di un film debba essere una preoccupazione basilare di ogni buon regista che si confronta con un romanzo. Costruire dal romanzo il film – che è un’opera altra.
“Alice nel paese delle meraviglie” è celebre per incanto e magia, per stravaganza e follia. “ Alice in wonderland” di Tim Burton è un film che pecca di magia, e non c’è niente di più grave per una favola. E’ un film freddo, canonico, rettilineo e logico più che folle, onirico e meraviglioso. Perfino Johnny Deep, attore feticcio di Burton, non riesce a far uscire niente dal Cappellaio magico. Non basta un po’ di trucco, una demenzialità fuori luogo e di bassa lega e una ridicola danza per fare un personaggio. Non basta, soprattutto, il fatto – più di routine ormai che artistico – che Johnny Deep ci sia laddove c’è Tim Burton. Il suo Cappellaio magico è solo l’ombra lontana della carrellata dei grandi freaks che Deep ha interpretato per Burton. Ma è un’ombra troppo lontana per essere presa, e Deep, eterno Peter Pan, entra nell’ennesimo mondo per cercarla.
Anche Elena Boham Carter, l’aspetto migliore del film, rischia però di andarsi a incanalare in un “tipo”, senza riuscire più a evaderne. Sono loro due, i due attori di Tim Burton, i due interpreti dei suoi mondi, a farci intravedere l’ombra di una poetica in "Alice". Ma quell'ombra è presto un accenno che viene subito occultato, raffreddato dalle battaglie, dai mostri, che ricordano più un filmetto fantasy alla Narnia che “ Alice nel paese delle meraviglie”. Il tutto, ovviamente, è aggravato dal massiccio e evidente uso di computer graphica, che sembra fare passi indietro sconvolgenti, ritornando alla qualità di un videogioco, e svelando tutte le sue finzioni.
E il 3D. Come tutti sanno “ Alice in wonderland” non è stato girato in tridimensionale ma in 2D e poi, in fase di post-produzione, è stato convertito in 3D. Ora, non voglio apparire come un denigratore del 3D in tutto e per tutto, ma se viene utilizzato deve avere una giustificazione narrativa, non può essere completamente gratuito, altrimenti viene il sospetto che si tratti solo di una trovata meramente commerciale. Ma anche da un punto di vista tecnico è un 3D oggettivamente posticcio e mal riuscito. Non parlatemi di un incremento della profondità di campo, ciò che ho visto io invece era più piatto di un qualsiasi film bidimensionale.
Ed è un vero peccato.
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