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Alice Sabatini: La Miss Italia che vorrebbe vivere una guerra

Creato il 21 settembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Oggi ha fatto il giro del web la dichiarazione della nuova Miss Italia, Alice Sabatini, che ha risposto in diretta su La 7 che le sarebbe piaciuto «vivere nel 1942 per vedere realmente la Seconda Guerra Mondiale, visto che i libri parlano pagine e pagine… perché tanto sono donna e il militare quindi non l’avrei fatto».

Le reazioni non si sono fatte attendere e l’ironia dei social network si è dispiegata, con la solita crudeltà ed aggressività, a condannare la giovane in un momento in cui, per la felicità della proclamazione a Miss, probabilmente si accorgerà a stento di tanta polemica.

Eppure, che cos’ha detto precisamente Alice, al di là della confusione che l’emozione può anche parzialmente giustificare? Il concetto di base è tutt’altro che insensato, per quanto drammatico: la nostra generazione, e quella precedente, sono le prime che nella storia dell’uomo non abbiano mai vissuto una guerra sulla propria pelle (senza scomodare fini sociologi basta ricordare il famoso monologo di Fight Club). Anzi, è successo di peggio: ne hanno viste succedere di ogni sorta, in giro per il globo, anche a pochi chilometri dai propri confini nazionali, diventando totalmente assuefatte alle perfette ricostruzioni dei kolossal hollywoodiani, oppure dei documentari storici.

Insomma, è successo che, come per tante cose nella società delle immagini, aver passato nottate a sparare in soggettiva su Call of Duty, oppure a vedersi anche contro la propria volontà la contraerea al TG in azione in qualche posto in Medio Oriente, ci ha dato la convinzione di sapere anche ciò che non sappiamo. Ci fa ripetere, più che “sentire” per esperienza, che la guerra è brutta e che dobbiamo detestarla. Ma non è possibile detestarla davvero, finché è solo un’idea astratta.

Il rapporto della società moderna con la guerra è quindi molto sfasato: inutile replicare ad una Miss Italia, indignati, raccontando della propria nonna ferita dai repubblichini o dai partigiani, inutile anche “sparare sulla Croce Rossa” (per rimanere in tema) evidenziando il fatto che, nascendo nel ’42 non avrebbe “vissuto la guerra” se non da bambina, e che i libri normalmente non parlano. Ma cogliere l’occasione per analizzare cosa derivi da anni ed anni di “missioni di pace” e di “esportazione della democrazia”, in un Paese come il nostro che “ripudia la guerra”, ci fa capire cosa abbia portato a non concepirla più nella sua portata tragica e, al tempo stesso, storica. Il lessico, spesso, cambia prima delle idee. Dopo di che arrivano i facili buonismi e gli atteggiamenti di comodo, in cui più per conformismo che per reale convinzione ci si schiera in quello che è il “comune sentire”.

E allora, siamo ancora convinti che una frase incosciente ed ingenua come «La mia bisnonna c’era e mi racconta spesso di quei tempi. Avrei voluto esserci per capire che cosa si provava. Oggi sembra tutto così scontato…» sia solo da censurare e irridere sulla propria pagina Facebook? O forse non sarebbe il caso di chiederci anche noi, tutto sommato, quanto realmente ci rendiamo conto di certe cose, e quanto invece siamo condizionati dalla retorica che ci circonda?

Per essere nemici della guerra, a volte, sarebbe più utile respirare e riflettere, cercando di immedesimarsi empaticamente nel prossimo anche nella quotidianità e nelle piccole cose. Altrimenti, rischiamo di fare come i pacifisti che devastano le città manifestando per la pace: e a leggere molti messaggi rivolti alla ragazza, viene da chiedersi chi davvero dovrebbe vergognarsi.

Un altro discorso, del tutto a parte e stranamente non ancora finito alla ribalta dei rivoltosi da tastiera, è quello sul femminismo di una diciottenne che concluda «tanto sono donna, me ne sarei stata a casa». Ma questa è un’altra polemica.

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