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Sulla Terra piovono strane rocce azzurre, ed una di esse viene raccolta da un gruppo di giovani speleologhi… In breve. Non è il seguito ufficiale di Alien e si guarda bene dall’esserlo, anche se l’ispirazione nasce proprio dal cult di Ridley Scott. Un rip-off senza pretese che finisce per mettere la fantascienza in secondo piano, al fine di concentrarsi quasi esclusivamente sulla cruenza degli effetti speciali, a delineare un classico b-movie italiano che si lascia guardare con la stessa rapidità con cui si fa dimenticare. Alcune sequenze non sono male – rispetto ai mezzi ed al periodo – altre lasciano un po’ a desiderare e la recitazione non è eccelsa: non c’è abbastanza sostanza, in altri termini, perchè il film meriti una qualche rivalutazione.
Nella trama di “Alien 2 – Sulla Terra” ci sono tuttavia troppi pochi elementi perchè si possa usare questo abusatissimo aggettivo senza scandalizzare nessuno: ad Ippolito rimase la probabile consapevolezza di quello che stava realizzando (un horror low-budget come tanti – o troppi – ne vennero fatti all’epoca), oltre ad un’uso di effetti splatter non certo indimenticabili, che conferisce a questa pellicola un valore trash cultistico quantomeno al di sopra della media. Tutto il resto, semplicemente, è poca cosa: la pochezza dei mezzi utilizzati, anche se venisse messa in secondo piano o trascurata, finisce per impattare in modo pesantissimo sulla visione, visto che il tutto è estremamente artigianale, il livello recitativo è piuttosto scarso e molte situazioni sono un vuoto riempitivo di cui si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno. Vedere Burt (Michele Soavi), ad esempio, aspirante romanziere che tenta di scrivere a macchina dentro la grotta a lume di candela (sic) fa sorridere almeno quanto il fidanzato che racconta dei poteri paranormali della propria ragazza, come se si trattasse di una cosa normalissima come avere i capelli biondi o portare i baffi. Belinda Mayne, dal canto proprio, non recita neanche malissimo – e Ippolito la mostra in un paio di scene di nudo probabilmente esclusivamente per “fare cassetta” – ma possiede una poco credibile “aura” sovrannaturale che la rende, alla lunga, semplicemente irritante. Questo è visibile quando vive dei momenti di trance in cui dovrebbe rivelare l’Innominabile, e si guarda bene dal farlo sussurrando un banalissimo “non lo so”, che fa un po’ crollare il mondo addosso allo spettatore. L’alieno, dal canto suo, è ben lontano dalla perfezione raggiunta nel film di Scott: una massa informe simile ad un “blob” con alcune “zampe” che fuoriescono, del quale non è neanche troppo chiaro come riesca a muoversi, e che il regista tende ad inquadrare il meno possibile (arrivando a riprenderlo in soggettiva, pur di non doverlo mostrare: licenze poetiche che soltanto in certi b-movie, per la cronaca). Se film di questo tipo, partendo da presupposti tutto sommato divertenti – e sui quali la fantascienza di ogni parte del mondo continua a sfornare storie, a ben vedere – viene “arricchita” da perle di questo tipo (oltre ad errori secondo me un po’ troppo grossolani, come un volto sfigurato quasi completamente dall’acido che, nonostante tutto, urla e piange) è chiaro che il livello qualitativo è destinato a crollare. E questo, ripeto, nonostante i presupposti siano incoraggianti, ed il film sia un sostanziale crescendo di gore: più horror che sci-fi, più trash che tensione, da guardare per curiosità – forse anche per “completezza” rispetto alle uscite del periodo – e senza troppe aspettative. Ippolito ha firmato il film, per la cronaca, come Sam Cromwell, mentre Michele Soavi diventerà una delle future icone dell’horror italiano.