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ALIEN AGENDA DUEpuntoZERO (2.0)

Creato il 10 maggio 2012 da Tnepd


“In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto,

mettere un punto interrogativo a ciò che a

lungo si era dato per scontato”

Bertrand Russell

Sono profondamente convinto che solo quando raggiungi la cima della montagna puoi voltarti e osservare il percorso compiuto per salire. E soltanto in quel momento capisci se la strada che hai scelto è stata la migliore, la più ripida, la più tortuosa, la più sicura o la più breve.

Allo stesso modo quando svolgi una ricerca e credi, a torto o a ragione, di aver scoperto tutto ciò che era necessario e possibile sapere, puoi girarti e cominciare a tornare indietro per rimettere in gioco cose che hai dato per assodato con l’obiettivo di migliorare e confermare il lavoro fatto o semplicemente dire… mi sono sbagliato. Li chiamano dubbi, affinamenti, integrazioni teoriche… io più semplicemente la definisco la strada della conoscenza.

ALIEN AGENDA DUEpuntoZERO (2.0)
Cosa voglio dire? Voglio dire che negli ultimi tempi, grazie alle esperienze acquisite, ho potuto (forse presuntuosamente lo ammetto) rivalutare un aspetto fondamentale del fenomeno delle interferenze aliene. Sai a cosa mi riferisco? Al fatto che non sono più così convinto che gli alieni vengano a romperci l’anima… ehm… perdonami… le scatole perché vogliano raggiungere l’immortalità tramite noi.

Raggiungere l’immortalità è una cosa davvero sciocca. Un nonsense biologico, mentale, scientifico, metafisico e spirituale. Una stupidata galattica su ogni livello. Anche perché forse la morte, intesa come fine di tutto, non esiste, pertanto che senso avrebbe cercare l’opposto di una cosa che non esiste?

Troppo contorto? Aspetta… Ci sono regole dell’universo che sono valide per ogni cosa. Supponiamo per un attimo che la morte, ovvero la fine di ogni cosa, esista davvero. Muoiono le forme viventi, muoiono le particelle, muoiono le stelle, morirà perfino l’Universo quando l’entropia raggiungerà la morte termica. Possibile che solo questi sgangherati alieni non vogliano morire?

Il punto fondamentale è capire che la morte è necessaria alla vita. Non può esserci vita se non c’è morte, non può esserci inizio se non c’è fine, non può esserci l’alba se prima non c’è stato il tramonto. E tutto è in continua e ciclica trasformazione.

Si potrà pensare che gli alieni siano profondamente stupidi e sostanzialmente con poca coscienza. Anche su questo avrei da dubitare. Non esistendo un “coscienziometro” mi pare difficile misurare la coscienza altrui la quale, per definizione, è incommensurabile e forse indefinibile. Inoltre il fatto di avere un desiderio o una necessità (irrilevante al momento la differenza) che li porta a volere quella cosina intangibile che chiamiamo anima, dimostra quantomeno che una coscienza di sé, dei propri limiti o dei propri scopi deve esistere. Infine non può essere stupido chi padroneggia una tecnologia superiore (e che sia superiore alla nostra non vi è alcun dubbio) tanto da manipolare la virtualità dello spaziotempo con estrema facilità; non può essere stupido chi sa o ha compreso che esiste quella cosa che chiamiamo anima e infine non può essere stupido il tuo avversario: che fai ti metti a combattere con uno stupido? No, non mi pare il caso…

Quello che io sostengo è che gli alieni siano qui esattamente per lo scopo opposto!

Confuso? È normale lo sono anch’io. Però ti tranquillizzo subito… non posso provare ciò che affermo, e per uno sperimentale come il sottoscritto è una bella gatta da pelare, quindi prendi pure tutto quanto ti dirò con un pizzico di goliardia e una tonnellata di senso critico. Al più rimani come sei.

Dunque dicevo… gli alieni non sono qui per l’immortalità ma sono qui per nascere e morire! La mia ipotesi (o il mio vaneggiamento, chiamalo come vuoi) è come uno sgabello da bar: si regge su 3 gambe. In altre parole… formalmente sta in piedi e ha pure un effetto collaterale positivo: potrebbe dimostrare “popperianamente” che la teoria sviluppata da Corrado Malanga è scientifica. Poi si tratta di vedere se quanto dico corrisponde o meno a verità. Allora siediti e vediamo se questo sgabello regge il tuo peso

;-)

Se mi hai seguito anche in precedenza sai cosa si intende per scientificità: una teoria è scientifica se può essere falsificata. Attenzione! Scientifica non significa vera, intendiamoci! Significa solo che si regge su presupposti verificabili. Verità e scientificità sono cose profondamente diverse. Mi spiego meglio. Se io affermo che domani pioverà non faccio un’affermazione scientifica per il semplice fatto che non posso dimostrare inequivocabilmente che domani non pioverà, ossia non posso falsificare questa asserzione. Ma magari domani dovrai davvero andare al lavoro con l’ombrello aperto per non bagnarti, capisci? Una cosa vera non è necessariamente scientifica e una cosa scientifica non è necessariamente vera.

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E quindi? E quindi se dimostro che una teoria, quella di Corrado Malanga sulle interferenze aliene, è scientifica posso allo stesso modo proporre una posizione diversa (la mia) con i seguenti vantaggi:

1) posso sostenere un’ipotesi che in parte la falsifica senza essere tacciato di eccessiva fantasia;

2) posso avvalorare l’impianto complessivo della teoria su cui si basa tutto lo scenario;

3) posso tirare un sospiro di sollievo perché significa che tanti anni spesi in questa ricerca non sono stati del tutto sprecati

;-)

Insomma ci metto anche una bella dose di opportunismo.

Io affermo che gli alieni siano qui per acquisire coscienza mediante l’esperienza della temporalità. Ora ti spiego meglio cosa intendo. Seguimi!

La prima gamba

Ricordi John Mack? David Jacob? Karla Turner? Yvonne Smith? Budd Hopkins? Si, gli americani, coloro che da un punto di vista storiografico sono considerati i pionieri nello studio delle abductions.

Rispetto a quanto scoperto da Corrado Malanga si sono fermati al primo livello delle interferenze aliene, arrivando soltanto alla punta dell’iceberg. Il merito però di aver portato all’attenzione del mondo intero questo problema gli va riconosciuto. Al di là delle diverse interpretazioni sulla natura delle azioni aliene sulla Terra (Jacob ad esempio è un negativista, Mack era un positivista) tutti concordano su una cosa: gli alieni non possono riprodursi. Utilizzano materiale biologico umano per perpetrare sé stessi e creare una nuova razza ibrida.

Alla luce di quanto sappiamo oggi non risulta che il fine ultimo sia la creazione di una razza ibrida umano-alieno ma risulta verosimile che gli alieni siano sterili e pertanto incapaci di riprodursi. Ora ti chiedo: se sono sterili e se perseguono i loro loschi scopi da millenni (ne abbiamo antichissime testimonianze sia nei testi vedici, sia nei miti di altre passate civiltà) cosa ne possiamo dedurre? Una sola cosa: che non muoiono mai! In caso contrario si sarebbero già estinti da eoni. A quale fine allora ibridizzare degli esseri viventi e metterli nei famosi cilindri trasparenti in animazione sospesa? Un po’ di pazienza e provo a risponderti.

Non trascuriamo poi che in tutte le epoche passate l’alieno era l’incarnazione della deità, ossia era visto come un dio e questo ne implicava l’immortalità.

La seconda gamba

Recentemente ho scritto un articolo dal quale vorrei riprendere un concetto fondamentale: l’Uno e il Duale. In questo articolo non mi sono inventato nulla, ho solo messo insieme concetti e scoperte altrui cercando delle correlazioni su un terreno comune.

L’esperimento di Alain Aspect del 1982 ha dimostrato senza ombra di dubbio che i fenomeni quantistici non sono locali. Ha dimostrato che due particelle poste a distanza si comportano come se fossero un’unica particella e che non si scambiano informazioni a velocità superiore a quella della luce perché non essendo separate non hanno necessità di farlo. Sono intimamente legate (in entanglement direbbero i fisici) da qualcosa che trascende la località. In pratica non c’è spazio, non c’è distanza ma è solo la virtualità del processo di osservazione che ci porta a modellizzare le due particelle come distinte. Le particelle, in realtà, non hanno alcun bisogno di comunicare o scambiarsi informazioni semplicemente perché sono anche lo spazio che apparentemente le separa. Quindi lo spazio, inteso come separazione, non esiste e di conseguenza non esiste il tempo che è la grandezza (virtuale) che descrive lo spostamento dei corpi nello spazio in termini di successione di eventi (o posizioni).

In effetti, se ci pensi bene, il tempo non è nemmeno misurabile. Non direttamente almeno. È sempre una misura di spazio. L’orologio misura il tempo in funzione dello spostamento nello spazio delle lancette. L’anno, il mese, il giorno sono legati a diverse posizioni delle Terra rispetto al sole e così via. Se questo è vero significa che non esiste spazio, non esiste tempo, non esiste separazione e che tutto è una sola cosa. Tutto è UNO! In altri termini ogni particella è di fatto una rappresentazione del macro nel micro. Ogni particella è il tutto. Mi segui?

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Prendiamo il discorso dell’infinito. Perché parlo di infinito? Perché se la coscienza ha in sé le ragioni della propria esistenza, ossia non dipende da null’altro se non da sé stessa, allora è per forza di cose infinita. Pertanto se tutto è Uno, l’Uno è infinito.

Tempo fa, in un altro articolo dal titolo “Tempo, Infinito e Anima”, scrivevo: prendiamo un segmento, ossia una sequenza di punti che ha un inizio e una fine. Questa cosa che chiamiamo segmento è costituita da una serie di punti (che per definizione sono infinitamente piccoli). Al suo interno esiste in realtà qualcosa che non può avere limiti, ovvero è infinito. Allora ti chiedo: può una cosa finita contenere qualcosa di infinito? Io direi di no…

La stessa cosa vale per il tempo. Se esiste un istante primo al tempo t0 che ha dato vita all’Universo, (quello che i fisici chiamano la singolarità del Big Bang), deve necessariamente esserci anche una fine. Non può infatti esistere un inizio senza un termine, altrimenti dovremmo sostenere l’uguaglianza tra l’infinito e ciò che ha avuto un inizio ma non ha una fine. Il che è assurdo per definizione visto che “infinito” significa “senza un inizio, senza una fine”.

A questo punto cosa potrebbe permetterci di discriminare e riconoscere un Universo infinitamente ampio da un punto geometrico infinitamente piccolo? Niente, assolutamente niente perché entrambi non hanno limiti e non possono esistere due infiniti: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. E quindi? Mi stai dicendo che l’universo sterminato e un elettrone invisibile sono la stessa cosa? Hanno le stesse dimensioni? Come la mettiamo?

Io dico che non esiste l’infinito perché c’è solo una cosa che è tutto: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sono di fatto la stessa cosa.

Confuso? Permettimi di continuare… Sul principio dell’unitarietà (tutto è UNO) si basa la struttura della coscienza. Attento… ho parlato di unitarietà non di unità. Unità e unitarietà sono concetti profondamente diversi. L’Unitarietà è la singolarità, l’Uno, si riferisce a una cosa sola, inscindibile. Unità invece indica l’unione di più cose originariamente separate.

Se tutto è UNO significa che il tutto contiene ogni cosa, ogni possibilità e che ogni manifestazione della realtà è frutto dell’azione creatrice della coscienza che ci permette di diventare consapevoli dell’UNO o di una sua manifestazione.

Come avviene questo processo? Mediante la dualità perché la dualità è un processo ineluttabile, nonostante sia anche stata usata meschinamente dall’uomo. Ma su questo ci ritorno tra un attimo.

l’UNO, dicevo, contiene tutto quindi da esso non può uscire nulla perché non esiste nulla al di fuori, addirittura non esiste neppure un “fuori”, un concetto di “al di là”, di “altrove”. Per far uscire qualcosa deve avvenire un atto di contemplazione, qualcosa che “dall’esterno” aiuta ad acquisire consapevolezza. Qui nasce la dualità, qui nasce l’esterno apparente (e sottolineo apparente).

In che modo? Con un distacco, un “allontanamento” (virtuale) che ci permette di fare l’esperienza della conoscenza mediante la creazione del tempo perpetrata attraverso una continua oscillazione tra due stati.

In fondo è quello che fa la PNL quando cura una fobia, o cambia un comportamento non voluto. Semplicemente il piennelista ti chiede di dissociarti sensorialmente dalla tua esperienza problematica e di osservarla in lontananza. Dissociandoti, e applicando opportune tecniche, tu puoi cambiare la tua mappa del territorio. In altre parole… cambia la tua coscienza e la tua

consapevolezza di quell’evento o di quella esperienza.

Aspetta, lo so che non è facile seguirmi su questa strada ma permettimi di continuare e forse tutto sarà più chiaro.

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Esperienza dunque… ne abbiamo parlato tanto ma di fatto cos’è? Potremmo dire che l’esperienza è quella cosa che si realizza quando nel processo di conoscenza interviene ciò che permette al nostro cervello di conoscere il mondo che ci circonda e di averne ricordo. L’esperienza perciò comprende la conoscenza di una cosa o di un evento con i cambiamenti che questo denota (la chiamavo “collasso della funzione d’onda”, ricordi?). Questo processo conoscitivo non può fare a meno della grandezza tempo. Osservando un fenomeno si genera un punto di riferimento, un punto zero (P0), che diventa il punto di consapevolezza iniziale, il tuo punto di partenza che di fatto si utilizza come specchio per diventare consapevoli della realtà. Tu sei consapevole di essere bagnato se prima eri asciutto, senti il caldo se sei freddo, sai di essere triste sei sai cosa significa essere allegro e così via. Lo stesso fotone è onda o particella a seconda di come lo osservi.

In altre parole per conoscere devi spostarti e osservare lo “specchio”, allontanandoti dal tuo punto zero. È in questo istante che si crea la dualità perché la contemplazione dell’universo e della realtà si attua quando collassa la funzione d’onda e si ha lo spostamento e l’oscillazione su due punti. In questo preciso momento nasce la dualità. Sto quindi affermando che per osservare l’UNO c’è bisogno di due punti. In pratica la coscienza (UNO) crea ma è la dualità che permette di fare l’esperienza.

In quel preciso momento si crea una seconda coscienza: la prima universale in quanto unica in grado di creare, l’altra locale in grado di contemplare (e fare esperienza) grazie a un punto di riferimento. Questo determina il processo di consapevolezza e la conoscenza del mondo esterno.

La coscienza locale non è in grado di creare ma solo di conoscere ed esperire. La coscienza universale invece è non locale, inserita in un eterno presente, crea mentre la coscienza secondaria, muovendosi nella virtualità, te ne fa fare l’esperienza. La creazione della realtà avviene sempre nel presente, accade in un attimo infinitesimo, indefinibile, eterno al di fuori del concetto di spaziotempo. Nel presente sei creatore, con il distacco sei il creato che ne fa l’esperienza e per questo hai bisogno del tempo.

La dualità io non credo sia un inganno ma piuttosto una necessità. O meglio un piccolo inganno c’è, ovvero quello di pensare che le due coscienze siano di fatto due cose diverse, staccate quando in realtà sono la stessa cosa perché, ripeto, tutto è UNO. Ma dopotutto è una piccola cosa se comprendi questo concetto. Vedila così: la coscienza primaria (o universale che dir si voglia) si individualizza in una forma diversa per guardare se stessa. Ma sempre della stessa cosa si tratta.

Bene, perfetto, tutto chiaro ma… gli alieni? Cosa c’entrano in tutto questo?

Allora seguimi ancora per un istante. Abbiamo detto che la coscienza è tutto, è onnipresente, onnisciente, onnipotente onniquellochevuoi. È infinita e eterna e come tale non ha in sé il concetto di inizio e di fine in quanto realtà asincrona e atemporale. Per poter acquisire questi concetti facendo l’esperienza necessaria ad avere completa consapevolezza di sé, usa la coscienza locale che si manifesta mediante il processo di dualità. Si individualizza in una forma che possiede, seppur nella realtà virtuale, la dimensione temporale quale condizione fondante per esperire il principio di inizio e di fine.

Quando questa esperienza viene fatta cosa resta? L’informazione dell’esperienza, non tanto il contenuto in sé quanto il processo. Come chiamare questa informazione? Io la chiamerei anima. L’anima quindi è pura informazione, l’informazione dell’esperienza. Non la vedo quindi come una cosa “senziente” (nel senso più lato del termine) ma piuttosto come la risultante di un processo accumulativo che sostituisce il noto all’ignoto, il conosciuto allo sconosciuto. Non dimentichiamoci che informare significa “dare forma”.

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L’anima quindi come risultante, in termini di conoscenza, delle esperienze effettuate nel tempo e nel dominio della dualità. È ciò che rimane alla fine di un percorso che è ciclico e infinito. Possedere questo tipo di informazione significa avere coscienza dell’inizio e della fine. Già… l’inizio. Lasciami aprire una piccolissima parentesi.

Parlando di abductions abbiamo parlato tanto di morte ma quasi mai di inizio, di nascita. Questo aspetto è legato anche archetipicamente al concetto di “venire alla luce”, ossia uscire da una realtà buia e chiusa per aprirsi a qualcosa di nuovo e luminoso che diventa manifesto. Nascere significa iniziare, intraprendere un percorso e per la coscienza che non ha percezione dell’inizio e della fine è un momento determinante perché in quel momento tutto ha inizio e lei stessa comincia a conoscere. Questo cammino durerà per tutte le fasi della vita che anticipano la morte.

Nascendo quindi si acquisisce la consapevolezza della fine; venire alla luce significa dunque sapere.

Ti dirò che io credo che nascita e morte non esistano altrimenti contraddirebbero il principio dell’UNO. Nascita e morte sono, di fatto processi di trasformazione, delle transizioni di fase, cambiamento nella virtualità da una forma ad un’altra. Ora torniamo ai nostri “simpatici” alieni (sic!)

Nella nuova realtà fenomenica che sto tentando di delineare l’alieno, nelle sue varie forme e nelle sue diverse individualizzazioni, è il nostro duale. Ricorderò sempre una frase chiave che pronunciò tempo fa Corrado Malanga: “Studiando gli alieni siamo arrivati a conoscere l’Uomo”. In questa frase è riassunto tutto il concetto di dualità. Loro sono il nostro punto zero e l’oscillazione continua tra noi e loro ci ha permesso di conoscere e sapere ciò che sappiamo. Lo dico con altre parole: tramite loro abbiamo acquisito coscienza di noi stessi.

Se allora l’alieno è il nostro duale deve essere immortale. Ricordi? Asciutto-bagnato, luce-tenebre, caldo-freddo, onda-particella. Duale non vuol dire contrario. Duale significa separato, costituito da concetti e parametri di natura diversa seppur espressione della stessa cosa generante.

Per l’alieno immortale quindi il bagaglio informativo che si accumula nel tempo è privo dei paradigmi di inizio e fine, di nascita e morte. Si tratta, in altri termini, di esperienze che non è in grado di fare. Ne ha coscienza ma non conoscenza.

Come fare quindi? La loro soluzione, ahimè, siamo noi, prendendoci l’informazione associata a questa esperienza, ovvero prenderci l’anima. Questo permetterebbe loro di acquisire la consapevolezza della dualità inizio-fine. Coscienza, per altro, che noi abbiamo ma non sappiamo di avere. Siamo consci dei nostri limiti, mai delle nostre possibilità. Piccoli nella nostra grandezza (e anche qui torna la dualità).

Ora consentimi di fare un excursus sulla questione abductions perché devo ancora mettere a posto alcune tessere di questo intricato mosaico. Mi chiedevi come spiego quei feti che gli addotti vedono in sospensione nei famosi cilindri pieni di un liquido azzurrognolo? Il processo di ibridizzazione raccontato anche da Hopkins, Jacob e Mack è una sorta di surrogato della nascita. Se gli alieni sono sterili non possono procreare. Se non possono procreare non possono vivere l’esperienza della nascita, dell’inizio.

Ibridizzare il genoma alieno con quello umano significa pertanto creare qualcosa che bypassi questo impedimento. Una nascita farlocca quindi, vissuta utilizzando parte di quel “veicolo” (l’uomo) che ha invece la possibilità di farlo davvero. Così le nostre addotte vengono fecondate con una violenza inaudita e ai nostri addotti viene prelevato liquido seminale con un cinismo rivoltante.

E le MAA? Le memorie aliene attive? Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un espediente, un escamotage. Impiantare la personalità dell’alieno nel cervello di un umano significa fargli provare indirettamente l’esperienza della morte quando l’addotto morirà. Una sorta di “morte per interposta persona”. In realtà l’alieno non muore (non può) ma prova qualcosa che si avvicina all’idea della morte.

La morte poi, nella mia visione delle cose, non esiste. Parafrasando il titolo di un libro che lessi anni fa possiamo dire che nulla mai finisce e che la morte non deve essere vista come un termine ma come una fase di trasformazione profonda. All’alieno immortale manca la possibilità di affrontare questa trasformazione per trarne l’apprendimento che invece comporta per chi ha coscienza di sé.

L’espediente della MAA è anche in questo caso di un surrogato privo a sua volta di un contenuto esperenziale vero. Non c’è informazione in questo passaggio e neppure apprendimento perché è l’esperienza della morte “naturale” che manca all’essere immortale. Morire per poi rinascere, non morire per finire…

Beh allora adesso spiegami il discorso della copia… La copia in realtà serve all’umano militare per lo scopo che conosciamo, ossia il raggiungimento dell’immortalità (non dimenticarti il discorso della dualità di poco sopra) e per la creazione del cosiddetto “supersoldato”. All’alieno invece come fantoccio. Quando infatti l’alieno preleva l’addotto spesso se lo tiene per sé per un pochino di tempo. Non destare sospetti gli è fondamentale, pena la compromissione dei suoi meschini disegni. Allora si serve della copia per riempire una casella vuota, per sostituire l’originale e lavorare in assoluta tranquillità.

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Se è così allora perché gli alieni non rapiscono ogni essere umano ma solo alcuni? Nella mia visione delle cose la risposta c’è ma riconosco che non potendo provare ciò che affermo, le mie idee possono apparire pura speculazione. E allora prendile per quello che sono o che ti appaiono e poi fanne ciò che credi.

Sappiamo che gli addotti raccontano di avere dei deja-vu riferiti a vite precedenti le cui connotazioni appaiono estremamente diverse dalla vita presente, sia per le epoche a cui appartengono tali ricordi, sia per il contesto e le caratteristiche peculiari delle precedenti incarnazioni. Questo rende il proprio bagaglio informativo ricco di dati. In altre parole la propria anima (informazione) diviene particolarmente appetibile.

L’anima è un enorme e variegato database da cui attingere per favorire il raggiungimento dello scopo che ho illustrato. Soprattutto se le incarnazioni precedenti sono caratterizzate (come spesso accadde e come anch’io ho potuto verificare sperimentalmente) da nascite in contesti particolari o morti violente, improvvise, singolari, associate a un carico emotivo non indifferente.

La terza gamba

Alla luce di questa nuova chiave di lettura in cui ho provato a dare una definizione di realtà e in cui ho provato a definire quella che chiamiamo anima, possiamo provare ad allargare il discorso?

Ricapitoliamo… dunque… tutto è UNO, esiste nella realtà solo l’unitarietà mentre nella virtualità tutto è su base DUE. L’anima è l’informazione dell’esperienza, qualcosa che va oltre il tempo perché totalmente atemporale. Stante questo scenario tutto ha/è anima? A mio parere ha/è anima tutto ciò che è in grado di vivere coscientemente un processo esperenziale acquisendone conoscenza e sapere in funzione di un impulso all’apprendimento continuo.

Dunque anche gli alieni hanno anima, questa anima? Se è vera la mia ipotesi ossia che la loro è una ricerca finalizzata a vivere l’esperienza della nascita e della morte per esperire i concetti di inizio e fine, devo concludere che non hanno anima tant’è che la cercano nel loro duale: l’uomo.

Questo implica che nell’alieno non è insita la spinta all’apprendimento perché manca quella componente di pura informazione che ne è la risultante, ma vi è di contro la consapevolezza della sua mancanza. Per dirla in altre parole l’alieno ha si un bagaglio informativo originato dal suo esistere ma in questo database manca totalmente la componente tempo intesa come componente necessaria a iniziare/finire. È pertanto un’anima incompleta? Boh, non so… forse si.

Mi pare un’anima che va contro le leggi dell’universo perché non riesce a completarsi nel suo duale (e questo porta l’alieno a sopraffare il suo duale, noi). Se l’alieno accettasse la sua condizione probabilmente acquisirebbe quella parte di coscienza che gli farebbe capire che il suo status è necessario alla coscienza primaria.

Allo stesso tempo però ne consegue un’altra cosa: ogni uomo ha/è anima.

Pertanto in un’ottica duale noi saremmo i veri immortali seppure la nostra forma-uomo ci porti, in apparenza, a pensare il contrario, mentre loro sono fondamentalmente mortali poiché l’informazione della loro esistenza è incompleta mancando ciò che porta con sé la consapevolezza che la fine e l’inizio sono soltanto il passaggio da una realtà ad un’altra di cui non avranno mai consapevolezza.

A questo punto ti sarà chiaro che il mio concetto di mortalità e immortalità è un po’ diverso da quello che comunemente si intende. Nell’accezione più classica mortalità e immortalità sono legati al concetto di termine e di non termine. Io ritengo invece che la morte (o il suo duale, l’immortalità) sia la capacità (o dualmente incapacità) di concepire, affrontare ed esperire i cicli delle trasformazioni continue o per meglio dire di transizione da una forma ad un’altra.

Ora mi chiederai… è possibile parlare con anima? Come dicevo dal mio punto di vista l’anima non è una cosa “senziente”, è pura informazione sebbene con la coscienza dell’esperienza, la conoscenza del processo. Sulla base della mia esperienza posso dire che in ipnosi si parla sempre con la mente del soggetto, con il suo inconscio che è il decoder, il grande gestore dell’immenso database informativo delle esperienze accumulate. L’inconscio legge, codifica e interpreta (a modo suo, a volte in maniera fuorviante) il linguaggio macchina del database, fatto di simboli e archetipi.

Questa però è paradossalmente la chiave del successo di tecniche quali il TCTD, la FMS e il SIMBAD. Se mi passi la metafora informatica possiamo dire che con l’applicazione di queste procedure è come se nel cervello venisse installato una sorta di virus che rende “tossica” l’informazione (l’anima) all’alieno. In sostanza vengono alterati, ampliandoli, alcuni dati informativi nel database usando la codifica corretta. Così l’addotto non viene più preso perché si aggiungono dati, utilizzando un linguaggio metaforico e simbolico, che contrastano l’intenzione stessa dell’alieno perché non si fa altro che rendere già presente quel tipo di esperienza nel database, con tanto di conseguenze e proiezioni future. Una tale esperienza quindi non può più essere ripetuta.

ALIEN AGENDA DUEpuntoZERO (2.0)
In conclusione

Sono perfettamente consapevole che quanto ho esposto in queste righe possa creare confusione e magari qualche polemica. So che c’è il rischio che ciò che ho scritto venga usato strumentalmente per contrastare il lavoro fatto da Corrado Malanga e il suo team di lavoro. Me ne prendo piena e totale responsabilità. Se dovesse accadere sappiano i detrattori che io sto con Corrado comunque e soprattutto si rendano conto che il progresso di una ricerca è fatto anche di confronti e nuovi spunti di riflessione perché questo gruppo non è mai stato dominato dal pensiero unico ma piuttosto dalla voglia di capire.

Se riusciremo a far nostra l’idea di unitarietà e concepire che tutto è UNO, allora capiremo che la dualità è una necessità. Purtroppo questa necessità è stata anche usata per turpi giochi di potere dall’uomo corrotto. Prendi la religione ad esempio. Ha costruito sulla dualità tutto il suo potere. Dio e l’uomo, il creato e il creatore frapponendo tra i due la chiesa quale intermediaria.

A proposito…. Sapevi che il Padre nostro, la famosa preghiera cattolica, nell’originale testo aramaico non recitava “padre nostro che sei nei cieli…” ma bensì “padre nostro che sei ovunque”? Affermare che Dio (la coscienza) sta nei cieli significa stabilire una lontananza, un distacco; dire invece che è ovunque significa dire che Dio è anche in noi, che noi siamo Dio (o meglio… la coscienza).

Io credo che l’uomo non abbia alcun bisogno di intermediari. Eppure la nostra esistenza ha sempre avuto di mezzo intermediari che oltre a non servire a nulla hanno pure rallentato il nostro cammino evolutivo per piegarlo a biechi interessi.

Tra Dio e l’Uomo c’è di mezzo la religione, tra l’Uomo e la conoscenza c’è di mezzo la scienza.

Gli intermediari sono un ostacolo, un freno, una deviazione cancrenosa che blocca le nostre coscienze.

Io non lo so se quanto ho espresso qui sia vero, sia falso, sia soltanto verosimile, o convincente o da scartare in toto. Ognuno ne trarrà una valutazione che sarà la più “vera” per sé stesso. Mi piacerebbe pensare che possa essere uno spunto di riflessione e il richiamo al bisogno di non abdicare mai al proprio senso critico perché è solo con il dubbio che si progredisce, non con granitiche e inscalfibili certezze o con atti di fede. Non conosco altri sistemi purtroppo.

Solo quando arrivi in cima puoi girarti indietro e guardare il percorso che hai fatto. Non voltarsi sarebbe profondamente sbagliato secondo me. Alla fine di tutto questo posso dire di aver provato, seppur indirettamente, a falsificare la teoria di Corrado Malanga. E se dovessi esserci riuscito avrei dimostrato che quanto teorizzato da lui è scientifico, verosimile e magari pure vero! Ho posto solo l’accento su alcune differenze che non minano l’impianto stesso del lavoro di Malanga ma forse, paradossalmente, lo rafforzano.

Il resto lo lascio a te che hai letto fino a qui. Se sei più confuso di prima ho forse sortito qualche benefico effetto; se invece hai sposato acriticamente la mia tesi o l’hai rifiutata altrettanto acriticamente beh allora io ho fallito nel mio tentativo. Ma magari il tempo che ho dedicato a scrivere queste pagine e il tempo che tu hai impiegato a leggerle ci ha comunque permesso di crescere e fare entrambi un piccolo passo in avanti in direzione dell’UNO.

Dopotutto lo specchio è lì davanti a noi… basta guardarsi dentro.

Alex Torinesi

Fonte

Nota


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