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Alina Marazzi: dal documentario al cinema di finzione

Creato il 06 settembre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Alina Marazzi: dal documentario al cinema di finzione

Alina Marazzi è un’esploratrice, un’indagatrice. Il suo rapporto con la macchina da presa è un rapporto estremamente personale, fatto di intimità, di urgenza espressiva. I suoi progetti nascono da interrogativi di carattere esistenziale, i temi che affronta coinvolgono l’essenza dell’animo umano, in special modo di quello femminile.

Lo abbiamo visto in Un’ora sola ti vorrei, un documentario che faccio fatica a definire tale per la particolarità della sua natura: utilizzando fotografie, diari, lettere, documenti e filmati d’epoca custoditi nell’archivio di famiglia, Alina realizza un montaggio che ricostruisce il percorso di vita di sua madre, Liseli Marazzi Hoepli, morta suicida dopo un lungo periodo di depressione quando lei aveva soltanto 7 anni.

Il risultato è un ritratto vibrante e delicatissimo, di dirompente forza emotiva. La materia è talmente privata da rendere il suo significato universale. Lo spettatore si trova di fronte ad uno spirito fragile e sensibile in lotta con quel profondo senso di inadeguatezza che non gli permette di vivere.  Allo stesso tempo il film fa riflettere sulla riappropriazione del legame affettivo come condizione necessaria per il superamento della perdita.

In Per sempre, invece, Alina entra in relazione con alcune piccole comunità di donne che, perseguendo la loro vocazione, hanno abbracciato la vita monastica di clausura. Qui il linguaggio narrativo è più classico. L’intenzione è quella di cercare di accedere, da laica, alla comprensione di una scelta di fede così radicale ed assoluta attraverso la conoscenza diretta di una realtà normalmente inaccessibile al mondo esterno.  Il documentario, durante la fase di lavorazione, prende poi una piega anche diversa, seguendo l’esperienza di una novizia che decide inaspettatamente di lasciare il convento che la ospitava.

Il suo terzo lavoro cinematografico, forse il più conosciuto, è poi Vogliamo anche le rose. Alina ripercorre gli sviluppi del movimento femminista in Italia, dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’70, affrontando il tema della liberazione sessuale. Il materiale visivo è costituito nella quasi totalità da filmati di repertorio, fotografie e riviste dell’epoca. A questi si aggiungono alcune sequenze girate ex-novo, ma con le tecnologie di quei tempi, e animazioni realizzate ad hoc.  I contenuti attingono dai diari privati di tre donne vissute in quegli anni, ad ognuna delle quali vengono associati un volto ed una voce. Definirei questo film una preziosa rielaborazione in chiave soggettiva di un periodo storico determinante per la rottura dei vecchi modelli femminili, che ha in sé tutta la forza e la grazia di riproporre questioni complesse e spesso irrisolte sulla relazione tra i sessi.

Veniamo, infine, al presente. È infatti in fase di produzione il primo lungometraggio di finzione di Alina, dal titolo provvisorio Baby blues, che tratta un altro delicato tema legato all’universo femminile, quello della depressione post-partum. La protagonista della storia, Piera, interpretata da Charlotte Rampling, è un’infermiera in pensione che lavora come volontaria presso un consultorio per giovani madri in difficoltà. Nel cast anche Elana Radonicich, Filippo Timi e Valerio Binasco.

Osservando il lavoro di ricerca stilistica di questa regista e considerando il suo stretto legame con la video-arte, prevedo che si tratterà, anche nell’ambito della fiction, di un prodotto di forte originalità.

 

Ginevra Natale

 

Alina Marazzi: dal documentario al cinema di finzione
Scritto da il set 6 2011. Registrato sotto ARTEMIDE, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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