Dire Alitalia è come dire Italia: la vicenda della compagnia di bandiera riassume molto bene la storia degli ultimi tre decenni del Paese ed è affitta dalle medesime stigmate, dagli stessi inquietanti sintomi che vanno dall’infezione generalizzata della clientela politica, alla scarsa capacità di produrre idee e di accompagnarla col coraggio degli investimenti, dall’incompetenza, dagli sprechi, da un’imprenditoria che si fa forte dei soldi pubblici che arrivano direttamente o trasversalmente attraverso il sistema degli appalti. Nessuna stortura è assente.
Dunque l’Alitalia che nel ’65 era la terza compagnia europea e la settima mondiale, si è ridotta via al lumicino per aver guardato troppo all’esiguo mercato nazionale, poco a quello europeo e quasi niente a quello intercontinentale in vorticoso sviluppo via via che la cresceva la globalizzazione, trovandosi così troppo esposta all’esplosione del low cost (anche quello in gran parte avvenuto con i soldi pubblici attraverso i meccanismi di pagamenti in cambio di inserimento degli scali). Alitalia è rimasta per anni un piccolo mondo privilegiato poco adatto a rincorre le trasformazioni della domanda, mentre, sempre nel quadro delle politiche clientelari, venivano poste le basi per avere addirittura due hub nazionali, Fiumicino e Malpensa. Insomma una serie di errori senza fine che avevano portato la compagnia al collasso e alla prospettiva di fusione con Air France.
Purtroppo la messa a punta dell’accordo con la compagnia francese che si sarebbe fatta carico di gran parte dei debiti intervenne in una fase elettorale ed era un boccone troppo goloso per non essere volgarmente sfruttato dal milieu berlusconiano: la retorica europeista lasciò il posto a una sorta di becero nazionalismo nel quale veniva paventata la concorrenza sleale in fatto di turismo dei transalpini e dunque la necessità che Alitalia restasse italiana, mentre nel contempo si cercava di salvare Malpensa che era una roccaforte del lavoro di scambio leghista. Si inventarono i capitani coraggiosi, privati strettamente legati alla politica, remunerati poi in altre attività, che mettevano qualche soldino, ma di fatto gestivano soldi pubblici, protetti da ogni concorrenza. Così i cittadini hanno dovuto pagare tutta l’opera di salvataggio al posto di Air France che è costata 4 miliardi, senza tenere conto degli oneri indiretti. Ma come spesso accade l’operazione inconsistente e ambigua ebbe il meritato successo presso i furbissimi italiani e Berlusconi fu ricompensato con una montagna di voti.
Naturalmente si poteva salvare Alitalia rifondandola su basi diverse con consistenti investimenti pubblici, comprando nuovi aerei a lungo raggio, impostando un totale cambiamento di strategia commerciale oltreché di alleanze e cercando di acquisire competenze manageriali al di fuori del giro politico. Ma invece la mossa del 2008 era destinata solo a ritardare l’inevitabile, senza cambiare un bel nulla perché i capitani non solo non erano affatto coraggiosi, ma erano lì semplicemente per ottenere favori tenendo bordone al berlusconismo rampante. Così già l’anno scorso Air France poteva acquisire Alitalia per un tozzo di pane, senza metterci un euro per i debiti e a costo di oltre 3000 esuberi diretti, un prezzo che i governicchi di ubbidienza europea, attaccati per la collottola a qualsiasi voto disponibile non volevano , né potevano pagare.
Alla fine di un lungo accattonaggio molesto, si è presentata come unica alternativa, l’opzione Etihad, disposta ad acquisire il 49% della compagnia abbandonata a se stessa a costo però di un azzeramento dei debiti bancari, probabilmente la creazione di una bad company per le attività in maggiore perdita e circa 3000 esuberi diretti che si cerca ancora di contenere a 2500. Tali esuberi in regime di privilegio (80% dello stipendio per 8 anni) promessi per evitare turbolenze che possano mettere in forse l’accordo, saranno pagati dai passeggeri e naturalmente dalle casse pubbliche sono però la punta dell’iceberg perché bisognerà vedere quanti e quali attività verranno esternalizzate o semplicemente tagliate, quante finiranno altrove e quanti licenziamenti verranno da una ristrutturazione del sistema aeroportuale: non è un mistero che Malpensa sarà la prima vittima. Ma col governo “forte” di Renzi. si può finalmente procedere al macello finale chiamandolo salvataggio.
Questo senza avere un’idea di quanto gli interessi della compagnia araba possano coincidere con quelli del nostro Paese o con prospettive di sviluppo dell’Alitalia in salsa emiratina. A parte ogni considerazione geopolitica, Ethiad ha vasti accordi di codesharing, con molte compagnie in tutti i continenti ed è già l’azionista di maggioranza di Air Berlin che copre voli in tutta Europa (in particolare le mete turistiche e mediterranee), Russia, Asia e Nordamerica. Quale ruolo spetterebbe ad Alitalia in questo contesto non è dato sapere, però è chiaro che si tratterà di un ruolo davvero marginale tale da far apparire gli esuberi immediati solo come il primo capitolo di una storia in disarmo. Anzi c’è da pensare che ci si voglia più liberare di un concorrente per quanto piccolo, che cercare un rafforzamento. Ma qualcuno si presenterà a dirci che anche questo problema è stato risolto. Esattamente come si stanno risolvendo i problemi del Paese.