Miccichè e Lombardo
Quand’ero ragazzo e senza barba ero convinto che gli uomini, e, naturalmente le donne, avessero una virtù geneticamente data. La coerenza. Non pensavo che madre natura li avesse potuti trasformare proprio in quell’unica qualità che inconsapevolmente tendono a perdere con il passare degli anni e con il loro diventare sempre più canini: la loro spinta a formarsi in modo organico, come Rogers e i grandi padri del pensiero sociale insegnano.
Crescendo ho capito che tutte le regole hanno delle eccezioni. Che tutti gli esseri organici e inorganici tendono verso l’universale, fatta eccezione, appunto, di una categoria di fenomeni esistenti al mondo: quella dei politici e, tra costoro, dei governatori di Sicilia, con il coronamento dei deputati che ne fanno da prezioso sfondo.
L’ultimo eccelso esempio è il reiterato attacco di Monti contro i magistrati di Palermo, che a suo giudizio avrebbero intaccato i privilegi del presidente della Repubblica, primo tra tutti quello di non essere, neanche indirettamente, intercettato. Non è il nostro caso, ma figuratevi cosa sarebbe successo al presidente americano Richard Nixon se, nel 1972, grazie alle intercettazioni abusive effettuate da uomini del suo partito nel quartiere generale dei Democratici, non fosse stato intrappolato nel caso Watergate, e lui, con tutti gli uomini della sua consorteria avessero continuato a tramare a danno dell’interno popolo americano.
Ma in Italia può succedere questo ed altro e siamo abituati a vedere in parlamento gente che dovrebbe stare in galera, e vittime di delitti aspettare per una vita che la verità venga finalmente a galla. Allora diciamo a tutti i politici: un presidente così, come quello che abbiamo, che piuttosto che pensare alla verità e agli interessi degli italiani, pensa alle sue prerogative, prendetevelo a confessore, perchè, male che vada, anche nell’altra vita soltanto il padreterno vi potrà chiedere ragione di quello che gli avete confidato.
Il guaio è che lo scadimento della politica a tutti i livelli, crea al mortale cittadino problemi di scelta non indifferenti. Perchè deve lavorare su due tempi difficili e generalizzati. Il primo è l’abbordaggio che i politici fanno del nemico, e cioè il cosiddetto popolo, il secondo è la loro azione di arrembaggio, con le connesse privazioni dei beni comuni. Con il passare degli anni questa condizione e questa categoria speciale di uomini dediti a quest’azione di pirateria legale, ha smarrito la propria spinta interiore e, dalla potenziale condizione originaria di normalità, è diventata strategia politica.
Lo possiamo constatare: il bersaglio viene prima individuato, poi aggredito e infine delegittimato. Come nel caso dei magistrati siciliani.
Per questo la politica è morta e viviamo la fase dell’arrembaggio. La sua caratteristica è l’acuirsi delle ambizioni: si fanno sempre più materiali e dozzinali fino a diventare patologia dell’avere, distorsione, delegittimazione dei poteri costituzionali della magistratura e, aggiungo anche, del parlamento. Il governo vuole servi. Ha la sindrome dell’esclusione; si ritiene superiore, capace di vivere al di sopra delle cose quotidiane.
Di solito le nicchie dove si forma questo strano convincimento sono i partiti e le organizzazioni sociali, ma possono, ad un certo punto, essere i luoghi più disparati. Gli ammalati, inconsapevoli, ritengono di affrontare le loro manie di dominio anche da soli, con i mezzi che hanno. Finiti i partiti, sono finite le loro sedi, che sono nominali. Contano le persone. Al massimo le relazioni amicali.
Candidarsi, formarsi la convinzione di rappresentare tutti. Averne la presunzione e il coraggio da faccia di bronzo. Ecco la malattia. Questi individui si costruiscono, convincendosi sempre più di essere indispensabili alla causa ultima del comando. Perciò il loro compito è prevedere anzitempo il futuro e determinarne gli effetti in funzione della meta che si prefiggono. Una meta di gruppo. O, per meglio dire, di partito e personale.
Se uno ha un minimo di testa, basta che dia uno sguardo alla storia siciliana più recente. Qui si sono sempre giocate le sorti nazionali. Si scopre che sono finiti i tempi aulici dei presidenti con la spina dorsale dritta, come Piersanti Mattarella e Giuseppe Campione. Dall’estate del 2001 è subentrata l’era cuffariana, che ha lasciato il segno ai tempi di Nicola Leanza, e dalla primavera del 2008 ha ceduto il posto al lombardismo. Un fenomeno artificiale in cui si sono frammentate tutte le componenti nazionali della politica, e la Sicilia è divenuta essa stessa un affare. Un pallone gonfiato. O, se si vuole essere generosi, un orticello sperimentale. Qui la destra ha sempre sperimentato sulla pelle altrui le proprie grandi vittorie. Che sono state anche vittorie della mafia e delle consorterie clientelari.
Per le prossime elezioni regionali alla carica di governatore, concorrono così parecchi cavalli da corsa. Li sentiamo scalpitare ogni giorno sorretti, oltre che dalle loro scuderie, da vere e proprie organizzazioni di sondaggio predisposte ad anticipare, con gli eventuali correttivi in itinere, gli esiti finali più favorevoli. E siccome le bestie hanno un maneggio e un territorio dove esercitare la propria attitudine alla corsa, qualcuno si è già messo a correre, affiggendo manifesti e striscioni, e chiamando le consorterie alla gara appena cominciata. E’ lo scalpitare dei futuri deputati d’assemblea, quella degli antichi Parlamenti di Sicilia, delle sue prerogative baronali, dei suoi privilegi.
Perché, si sa, il tempo vola veloce, e ottobre è già dietro la porta. Asini che ragliano. Se vogliono arrivare prima, devono mettersi a ragliare prima e magari a correre, se ci riescono.
Poi ci sono i cavalli di razza, allevati per l’occasione. Per uno che si è dovuto, suo malgrado, ritirare, ce ne sono almeno una dozzina già pronti ai nastri di partenza, con le loro truppe cammellate. Chi arriverà per primo in questo regno di Sicilia governerà la terra di Sicutuli, recentemente costituita da siciliani indigeni, quel che resta nella nostra terra degli emigrati del potere presidenziale di Ben Alì in Tunisia, e dei libici di Gheddafi dopo la primavera dello scorso anno. Alla quale, come si sa, le truppe di Ignazio La Russa diedero allora un decisivo contributo. Cavalli che sono come arcangeli, nitriscono, brillano di luce propria e si contorneranno degli asini che ragliano. Mancheranno soltanto le antiche effigie delle tribù africane che pare si stiano organizzando per prendersi quel che resta di questo estremo lembo dell’Italia buono solo per le danze tribali. Perchè tutto questo? Sarà un fatto psicologico, ma provo la sensazione e il disagio di non trovarmi più in Italia, ma in una strana terra che non è per nulla quella che ho sempre sognato.
Tra i più in vista nella corsa c’è Rosario Crocetta che erroneamente abbiamo ritenuto facesse parte di un’epoca storica. E’ invece uomo di tutte le ere geologiche. Dai tempi di Gela, a quelli oscuri in cui persino Totò Cuffaro dalla patria galera invoca la sua elezione al posto che gli appartenne all’epoca biblica delle vacche grasse. Crocetta sembrava uomo di Rifondazione, o del Pdci, o di qualche altro partito. Neanche lui l’ha mai saputo. Invece eccolo qua. Con Fini, Casini e Cuffaro che gli fanno il tifo. Pare che dal partito di quel grande cervello quale fu Bertinotti, sia ‘trapassato’ a quello della metempsicosi. Il partito inventato dai pitagorici e predicato da Platone secondo i quali l’anima vaga libera da un corpo all’altro.
Un secondo candidato a governatore è investito direttamente dal decaduto Raffaele Lombardo, che si è riferito al presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Francesco Cascio, del Pdl, come papabile. Il governatore già in disgrazia per autoconsunzione, qualche giorno fa, ha detto: ”La candidatura di Cascio alla presidenza della Regione è una mia previsione, una mia considerazione. Siccome nel suo ruolo di presidente dell’Assemblea si è comportato lealmente, ritengo che possa essere un buon candidato”.
Il terzo tra cotanto splendore di opinioni è Gianfranco Miccichè, appartenente a uno strano nuovo partito, il Grande Sud, ma meglio noto come il derattizzatore dei corridoi del palazzo dei Normanni. Nel suo blog in questi giorni ha scritto: “Mi candido per derattizzare la burocrazia”. Forse potrebbe fare meglio l’assessore regionale all’ambiente e alla salute, visto che l’immondizia ci sta sommergendo tutti. In simili blog non trovate altro. Solo il vuoto più preoccupante: la sua faccia mentre parla a un microfono; un tavolo con schede votate che stanno per essere aperte, una foto con Gianni Alemanno. Un contenuto c’è: la Sicilia può ripartire per il suo sviluppo dal turismo. Un’idea nuova, no?
Poi c’è la lista dei “Forconi” di Mariano Ferro il cui simbolo alle prossime regionali sarà un insieme di uomini e donne che, con forconi in mano, vanno alla conquista del potere. E speriamo bene, perché quegli arnesi tridentati sollevati in aria mi fanno veramente impressione.
E l’elenco prosegue. Ci sono in disordine: Sicilia vera, Sicilia rivoluzionaria, il Sud, l’Alleanza siciliana, i grillini che rappresentano la Sicilia in movimento e mentre si muovono imprecano contro tutto e contro tutti. Ci stavamo dimenticando, in ultimo, di Fabio Granata che è stato presidente della Commissione regionale antimafia, istituita nel 1991 come un doppione di quella nazionale. Nessuno ha mai saputo cosa ha prodotto. Lo premieranno per questo? Ci sarà Massimo Russo che ha scontentato tutti i sindaci della Sicilia per la ristrutturazione territoriale degli ospedali, e che pare sia filiazione diretta di Lombardo e del suo Mpa. Ci saranno tanti altri che giurano di rappresentare il volto nuovo della Sicilia.
Altri candidati sono appartati rispetto al baillamme elettorale. Ne cito uno che intravedo solitario in un angolo. E’ quel galantuomo di Roberto La Galla, rettore dell’Università di Palermo, studioso e professore insigne. Un uomo che in fondo non ha nulla a che spartire con la vecchia politica, per quanto i volponi di destra lo abbiano una volta agganciato. Un peccato veniale visto che è uno studioso certamente amato e apprezzato da chi lo conosce. Non per le sue chiacchiere ma per le sue ricerche, per il suo amore per la didattica e per l’insegnamento, per il suo essere, nell’intimo, un vero maestro. Quello di cui ha bisogno questa Sicilia. Magari in collaborazione con quell’altro figlio d’arte quale è Claudio Fava. Vi sembrerà una follia, ma credo proprio che ci voglia questo al governo della Regione: un lavoro in tandem di due persone semplicemente pulite.
Giuseppe Casarrubea