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All’arrifiutaggio!

Da Fishcanfly @marcodecave

Al centro della cultura occidentale vi è l’imposizione del rifiuto come modo normale di appropriazione e accumulazione dei valori. In particolar modo rifiutare spinge al connettere un rinnovamento continuo come fine in sé, dove l’economia presuppone un ben-avere e non un ben-essere e dove, quest’ultimo, è confuso e fuso con il primo.

Andiamo con ordine. Il rifiuto nasce come conseguenza di un certo modello di crescita che esclude nel modo di contare occidentale proprio ciò che non è contabile. Ovvero: non fa niente se aumentano le spese per incidenti stradali, per l’assistenza sanitaria eccetera , purché l’importante sia crescere. Come dire: non conta solo che si compri una bistecca (per chi non è vegetariano o vegano, chiaro!), ma conta anche come la si cucini. E proprio questo , l’avete mai messo nelle vostre spese?

All’arrifiutaggio!
Se andate a comprare un vestito , conta il vostro gusto estetico, le ore che spendete, il modo in cui parlate, come sapete scegliere, conoscenze che non sono proprio gratuite che, però, sono date per sottese, assorbite nel non-economico. Sono state, appunto, rifiutate.

Direi: diamoci nuova libertà di contare. Il nuovo diritto di contare difende anche il diritto di non contare: non lo esclude. Consideriamo il PIL come valore che contiene solo alcuni elementi, che , arbitrariamente, confina la ricchezza , anzi il ben-avere, in schemi pratici, consunti, simbolo di un imperialismo a dir poco imbarazzante. Il PIL dà una certa dimensione che, da bravi nostalgici dell’imperialismo, imponiamo a tutti. La tua economia non cresce, nossignore.

“Se la pena che ci si dà per cantare una canzone è un lavoro produttivo, perché gli sforzi che si fanno per rendere una conversazione divertente e istruttiva e che offrono certamente un risultato ben più interessante dovrebbero essere esclusi dal novero delle attuali produzioni?” [Thomas Robert Malthus]

Rifiutiamo perché siamo stati formattati per pensare in un certo modo. Più beni, più benessere, più consumo. Più felici. Felicità è un bel rifiuto: il consumismo è un surrogato pronto e impacchettato. Felicità è un bel cellulare da buttare che prenderà il posto di un altro con una quota maggiore di felicità incorporata.

All’arrifiutaggio!

Il rifiuto sta soprattutto nel mercanteggiare capitalistico: dà importanza al feticcio in sé, all’oggetto, e ne dimentica i passaggi umani, la storia dell’oggetto stesso, il grado di fatica instillato nell’oggetto, la dimensione ‘tribale’ o , se volete, comunitaria. Il rifiuto oscura i passaggi materiali ed elimina quelli spirituali.

In fondo,

“All’uomo, nulla è più utile dell’uomo” [Spinoza]



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