Puntata numero 1
“Se vuoi imparare a scrivere, leggi leggi e poi ancora leggi”. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere? Continuamente. È così noi, appena riposta la penna o spento il computer, giù a leggere. Giusto? Come no, ci mancherebbe altro. Tuttavia, il più delle volte, il piacere e l’esercizio della lettura avvengono (almeno nel caso del sottoscritto) senza particolare metodo: ci buttiamo dalla prima all’ultima pagina godendoci la trama, i personaggi, il ritmo e lo stile, e quasi mai teniamo traccia dei passaggi, delle frasi che più ci hanno colpito o deluso (confesso di odiare i libri scarabocchiati). Più di una volta mi son trovato, alla fine di un’appassionata lettura, a chiedermi: che bilancio posso tirarne? Cosa ho appreso? Cosa mi è rimasto? Di tutte quelle belle parole allineate, separate da punti virgole e spazi, quante ne potrei utilizzare (o evitare) nella mia prossima impresa letteraria?
L’occasione di questo gradito spazio, vorrei dedicarla a coinvolgere qualche distratto viaggiatore nell’impresa di carpire preziosi segreti ai grandi maestri del thriller. I giganti, appunto. Tenteremo di introdurci nelle loro dimore letterarie e di appropriarci di qualche piccolo (o grande, dipenderà dalla fortuna) trucco del mestiere, e così affinare i nostri sensi nella ricerca di ciò che più toglie il sonno ai nostri bravi lettori.
Che ne dite? Può interessare? A chi non fosse già passato all’articolo successivo, direi di mettersi delle scarpe comode, abiti scuri e di seguirmi senza fare troppo rumore. Non ci metteremo molto. Per quello che mi sono promesso di fare non servirà affrontare tomi eccessivamente lunghi e impegnativi. Non avremmo neppure lo spazio tra queste poche pagine di riportare tutte le scoperte che vi potremmo fare. Vedremo, allora, di concentrarci su tagli più modesti, novelle e racconti tanto per essere chiari.
Il primo scantinato nel quale introdurci nottetempo, sarà quello della dimora del Re dei Maestri. Ho scelto The Gingerbread Girl (La ragazza di pan di zenzero), novella del 2007 di Stephen King, poco più di cento pagine, tradotta in italiano con il titolo ‘Torno a prenderti’.
Non ne farò la recensione, non dirò se mi è piaciuta o meno, né le affibbierò un punteggio. Non è lo scopo di questa rubrica. Quello che siamo venuti a fare qui sotto, al crepuscolo, armati di una piccola torcia a dinamo e di un taccuino nero, è il furto di oggetti preziosi. Saremo veloci, agili e spietati. Pronti?
Dunque, dalla quarta di copertina apprendiamo che Emily per superare il dolore per la perdita della figlia, si è rifugiata in un disabitato luogo di villeggiatura. Un giorno mentre fa jogging lancia uno sguardo incauto al bagagliaio dell’auto del vicino, e si risveglia saldamente legata nella cucina di lui, in procinto di essere torturata e fatta a pezzi come la vittima che aveva casualmente adocchiato. Immobilizzata e indifesa, senza nessuno che possa sentirla nel raggio di chilometri, Emily tenta disperatamente di escogitare un piano prima che il mostro torni a prenderla.
La trama è pressappoco tutta qui. Per i pochi che non l’avessero ancora letta non svelerò il finale.
Seguitemi. Facciamo piano. Avanziamo guardinghi, spiamo negli anfratti, tra le ante scricchiolanti di armadi polverosi, rovistiamo nelle cassapanche, nei cassetti sghembi, sotto teli, cartoni e tappeti. Venite, in silenzio, guardate, ascoltate, annusate. Oh, eccoli, finalmente. Non indugiamo, alla svelta infiliamo tutto nel fondo delle nostre capienti sacche. Ora, tranquilli, respirate, smaltite l’adrenalina, sdraiatevi sul divano, sorseggiate del buon tè (o qualsiasi altra cosa di vostro gusto) e avvicinate la lampada per fare un poco di luce.
Ecco il nostro meritato bottino.
Reperto numero uno: la forza delle metafore. A pagina ventuno King ci insegna a rappresentare l’indicibile. Dovendolo fare come potremmo descrivere il cadavere di una neonata morta nel sonno? Quali immagine sarebbe più efficace? Beh, cosa meglio del dire che appariva nera come una fragola marcia? Ne avete mai vista una? Provate a immaginarmi la testa di una bambola senza vita ridotta a ciuffi di muffa nerastri. Io l’ho fatto. Per due giorni non sono riuscito a togliermi quell’immagine dagli occhi. Terrificante.
Reperto numero due: l’ordinario che diventa incubo e ossessione. Nelle case di villeggiatura non è vi nulla di più scontato che trovare un orologio a muro con le batterie esauste. La protagonista ne ha uno davanti agli occhi per tutto il tempo che rimane legata alla sedia. Segna le nove e un quarto. King ce lo ripete ossessivamente. La donna sa che il suo tempo sta per finire, che la belva tornerà a minuti, eppure sono sempre le nove e un quarto. Le nove e un quarto. Niente male, direi.
Reperto numero tre: le paure infantili sono le più terrificanti. A King piace usare e abusare dei bambini e delle loro paure. Qui non si risparmia il divertimento. Prima di tutto, la vicenda avviene in quella che la donna ha soprannominato la Casamatta, una delle attrazioni più gettonate nei luna park. La donna, poi, ritorna continuamente ai ricordi d’infanzia. King ce la raffigura come una bambina minacciata dall’orco cattivo, dall’uomo nero. Dalla paura Emily si piscia addosso, il suo carceriere si definisce ‘papà Jim’, le chiede se vuole giocare con lui, la chiama Lady Jane… Basta?
Reperto numero quattro: il mostro deve essere avvolto nell’ombra. L’uomo nero non ha tratti definiti, è solo un’ombra, non lo riconosceremmo incrociandolo per strada. Che sia cattivo, oltre che per il cadavere visto nel suo bagagliaio, lo intuiamo da soli due improvvisi scatti d’ira, tra frasi per lo più ordinarie, al limite infarcite da ironica galanteria, briciole di sarcasmo. Fischietta Oh Susanna… Solo due volte Emily lo fa veramente arrabbiare, e lui perde il controllo, rivelando la follia che gli ribolle dentro: “Oh, maledetta stronza rompicoglioni”, “Oh, maledetta troia fottuta.”
Che dire? Non possiamo che farci i complimenti! Direi che per centocinque pagine, la nostra refurtiva è più che soddisfacente. Non siete d’accordo con me? Godiamocela fino alla prossima avventura!
Samuel Giorgi