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All’ombra dei Giganti – puntata n. 13

Creato il 28 aprile 2015 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

I fantasmi di Gabo

L’Allievo era seduto sul bordo della fontana, al centro del chiostro. Aveva l’aria affranta; fissava la superficie dell’acqua, pensieroso. Il Maestro lo vide, gli si avvicinò e attese. Dopo qualche istante, l’Allievo si accorse della presenza del Maestro, che paziente era pronto ad accogliere le sue domande.
A pensarci bene la scrittura è come un po’ come uno specchio, disse l’Allievo.
Il Maestro, vedendo che non aggiungeva altro, gli chiese di spiegarsi meglio.
La tua immagine, continuò allora il ragazzo, è ingabbiata lì per sempre. Tu sei quello che vedi e sai che non cambierai, salvo invecchiare.
Spiegati meglio, mio caro, faccio ancora fatica a cogliere il senso di quello che ti tormenta.
Il genere letterario che scegli, disse il ragazzo, può essere una gabbia, diventare una condanna, l’impossibilità di fare altro.
Non capisco per quale ragione tu ti sia fatto questa opinione.
Vede Maestro, in tutti i tentativi che ho letto dei giganti del thriller che si sono sperimentati fuori dai confini del loro mondo, ho percepito perdita di carisma e originalità. Forse gli strumenti necessari per tendere le corde della paura, non sono in grado di tenderne altre, e viceversa.
Mio caro, proverò a risponderti leggendoti un breve racconto. È una storia che ci insegna l’arte di costruire una trama che in apparenza ci porta miglia lontano dai territori della paura, ma che alla fine si sedimenterà tra i nostri ricordi come uno dei nostri peggiori incubi. L’ha scritta un gigante che non abbiamo mai nominato nelle nostre divagazioni, perché mai egli è associato all’arte del brivido. Eppure proprio loro, i giganti assoluti, sono in grado di elevarsi oltre le cime più impervie per poi tuffarsi nel fondo dei crepacci, sfiorare le rocce più nascoste, esplorare i fondali sconfinati e, senza batter ciglio, risalire la corrente e tornare in alto a dissetarsi tra le nubi e le stelle.

marquez

Stiamo parlando di Gabo, Gabriel Garcia Marquez, che tra le sue mille perle ci ha donato anche questo piccolo diadema prezioso. Poche righe, una vicenda che si svolge nell’arco di qualche ora. Una famiglia in viaggio in Italia, diretta ad Arezzo a fare visita a un amico scrittore. La dimora che li sta aspettando è un castello rinascimentale. Tutto farebbe pensare a una classica (e neanche poco scontata) ambientazione da storia di fantasmi. Che il nostro Gabo, come dici tu mio caro, per una volta abbia smarrito la propria misura arrancando con falcata da nano piuttosto che da gigante? Proseguendo oltre, il sospetto parrebbe confermato. Cosa meglio di un’antica e polverosa dimora posta in fondo a una strada costeggiata di cipressi per incorniciare visioni spettrali? E difatti i nostri villeggianti, smarriti nella campagna toscana senza alcun riferimento, trovano una vecchia che bada alle oche che oltre a indicargli la via per il castello, li mette in guardia: dovranno lasciare quel luogo il prima possibile e soprattutto non dovranno trascorrerci la notte, il castello è infestato dai fantasmi. A questo punto il sospetto potrebbe diventare una certezza: Gabo, il premio nobel, come forse diresti tu mio caro, ha toppato. Il lettore più avvezzo al genere dovrebbe chiudere queste pagine scontate e dedicare il proprio tempo ad altro. Ma un campione come Gabriel Garcia Marquez merita il beneficio del dubbio. Non ne convieni anche tu? I nostri coniugi non sono creduloni, proseguono il loro viaggio ridendo delle bizzarrie della vecchina. L’astuto e diffidente lettore, tuttavia, sa che questo significa che i protagonisti sono in errore, che presto le parole della padrona dei pennuti diventeranno realtà, che la nostra famigliola farà conoscenza di Ludovico, lo spirito nel nobiluomo che abita tra le pareti del castello. Tanto più che una volta arrivati, il posto gli piace talmente tanto (soprattutto ai bambini) che decideranno di trascorrervi la notte. Ma le previsioni del lettore vengono spiazzate fin dai primi passi della famiglia nella dimora dell’amico scrittore. Nessuna stranezza, nessun fremere di travi, nessun agitarsi di catene o svolazzare di vesti. Ogni ambiente nel castello è moderno, in ordine e splendente. Ogni ambiente, tranne uno: la stanza che apparteneva appunto a Ludovico, conservata intatta dal giorno della sua scomparsa. Tragica, inquietante scomparsa. Dopo aver fatto l’amore con la sua signora, la uccide nel letto, e va a farsi sbranare dai propri cani da combattimento. Nonostante questo pensiero, gli ospiti del castello si coricano sereni e trascorrono la notte senza sorprese. Come è possibile? Mancano appena due righe alla fine del racconto. Gabo, che scherzo ci hai tirato? Come nelle migliori fiabe, tuttavia, la magia ci sorprende proprio qui, a due passi dalla resa.

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È il tocco d’artista, semplice, inatteso, disarmante, capace di generare terrore allo stato puro. Un meccanismo, ragazzo mio, di sicuro non involontario, è frutto di una maestria rara e in via d’estinzione.
Maestro, ho capito, ma di grazia: cosa accade ai protagonisti al risveglio?
Il Maestro sorrise e con un lieve cenno della mano salutò l’allievo lasciandolo ai suoi preziosi tormenti giovanili. L’allievo rimase in attesa, fremendo, ma nessuna altra spiegazione giunse dalle labbra del Maestro. E allora capì che proprio l’ansia di conoscere il finale era la risposta che cercava fin dall’inizio.

Samuel Giorgi

p.s. Il racconto di cui si parla è “I fantasmi di agosto”, tratto dalla raccolta “Dodici racconti raminghi” del 1992.

 



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