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“Alla breccia di Porta Pia hanno vinto i Bersaglieri, gli Zuavi prigionieri li vogliamo fucilar”

Creato il 20 settembre 2015 da Federbernardini53 @FedeBernardini

Generale_Kanzler

Hermann Kanzler, comandante dell’esercito pontificio

Pubblicare o non pubblicare il XX di settembre? Fare o non fare il guastafeste con questa mia contro celebrazione? Meglio anticipare di un paio di giorni, per una questione di opportunità e di buongusto, per non turbare lo spirito patriottico, sempre più ectoplasmatico, in verità, di tanti bravi Italiani.

Ma alla fine mi sono risolto a pubblicare, sarebbe stato vile non farlo, mi sarei sentito come uno di quei Cattolici politicamente corretti che quando ricevono la visita di un Musulmano nascondono il Crocifisso in segno di “rispetto”, come fece quella mia amica che, dopo aver ospitato per alcuni mesi un imbroglione libanese, si vide spogliata di ogni suo bene.

“Alla breccia di porta Pia hanno vinto i Bersaglieri, gli Zuavi prigionieri li vogliamo fucilar”, così recita il popolare inno dei Bersaglieri che al comando del generale Raffaele Cadorna, il XX settembre del 1870, posero fine all’ “odiato” potere temporale dei papi. Le parole dell’inno, poi sostituite da altre meno compromettenti, ci rivelano di che pasta fossero fatti quegli uomini, alcuni dei quali, probabilmente, erano reduci dagli stupri, dai saccheggi e dalle stragi di vecchi, donne e bambini di Casalduni e Ponte Landolfo.

La stessa pasta di cui era fatto Nino Bixio, il fucilatore di Bronte, che, dismessa la camicia rossa, militava, col grado di generale, nel giovane esercito italiano che, con un contingente di 65.000 uomini, dette la spallata finale allo Stato della Chiesa.

Garibaldi lo conosceva bene… come conosceva bene il popolo romano, che la retorica patriottarda descrive ancora come il più feroce nemico del papa. Così scrive l’Eroe dei due Mondi nel suo “Il governo del monaco”: “Tutto il popolo romano, salvo una sparuta minoranza, era clericale! Ci penserà Nino Bixio a fargliela pagare il 20 settembre”.

E Bixio, per non smentirlo, così proclama nel suo ultimatum alla fortezza di Civitavecchia del 15 settembre 1870: “Ho dodicimila uomini di terra, dieci corazzate, cento cannoni sul mare. Per la resa non accordo un minuto di più di ventiquattro ore altrimenti domani mattina si chiederà dove fu Civitavecchia”.

Pio IX, per evitare inutili spargimenti di sangue, ordinò al Generale Hermann Kanzler, comandante dell’esercito pontificio, di opporre solo una resistenza formale. Pochi, infatti, furono i caduti, sia da parte italiana sia da parte delle truppe pontificie che, contrariamente a quanto comunemente si crede, erano composte per la gran parte non da truci mercenari stranieri ma da Italiani, molti dei quali Romani di ogni condizione, dai nobili, ai borghesi, ai popolani trasteverini.

E un altro luogo comune, celebrato dall’iconografia patriottarda, è il trionfale ingresso in Roma dei Bersaglieri attraverso la breccia di Porta Pia. Non furono loro i primi a entrare in Roma, ma un cane chiamato Pio IX che trascinava una carretta carica di bibbie protestanti, un evidente omaggio a coloro che avevano largamente finanziato gli eroi del Risorgimento. Una manifestazione di buongusto che non faceva presagire nulla di buono, in stile Casamonica, potremmo dire oggi.

E subito dopo, a coronamento dell’aggressione ad uno stato sovrano senza dichiarazione di guerra e quindi un atto di brigantaggio, una ciurmaglia di cinquemila sedicenti esuli romani, al seguito dell’esercito, fece irruzione in città, mentre altri erano in arrivo su treni speciali. Ben li descrive il giornale liberale di Firenze “La Nazione”: “Roma è stata consegnata come res nullius a tutti i promotori di disordini e di agitazioni, a tutti gli approfittatori politici di professione, a coloro che amano pescare nel torbido, ai bighelloni di cento città italiane. Si potrebbe pensare che il governo voglia fare di Roma il ricettacolo della feccia di tutta Italia”.

E poi venne il tempo degli speculatori. Dopo il 1870 ha inizio per l’Urbe, fino ad allora una piccola città di 200.000 abitanti, un periodo di forte e disordinata espansione, che doveva fare della Roma papalina la capitale del nuovo e ambizioso Regno d’Italia, il centro ipertrofico del potere politico e amministrativo che avrebbe richiamato centinaia di migliaia di nuovi cittadini da ogni parte d’Italia.

Un ghiotto affare per gli speculatori, che sulla fame di case della nuova capitale costruirono enormi ricchezze personali e il cui antesignano fu Francesco Saverio de Mérode, col suo sogno di “hausmaniser Rome”.

Ciò che Roma è oggi lo sappiamo tutti, non c’è bisogno di aggiungere altro… alla breccia di Porta Pia hanno vinto i Bersaglieri.

Federico Bernardini


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