Magazine Società

Alla fine si fa festa

Creato il 12 febbraio 2011 da Aronne

Vedrete che alla fine il 17 Marzo la festa per il cento cinquantenario si farà. Un paese come il nostro u cugghiuniu non lo rifiuta mai. Da Nord a Sud. Dal Piemonte al Regno della due Sicilie.
Chiamparino, in occasione dell’incontro con Marchionne e i vertici Fiat per avere garanzie sulla permanenza degli investimenti e, soprattutto, delle tasse che la Fiat versa sul territorio patrio, ha incontrato Berlusconi e lo avrà pregato di spingere, come solo Berlusconi sa fare quando si tratta di feste e festini, perché ci siano tutti. Da Tremonti alla Gelmini.
Ma che cosa festeggiamo? Perché, se non si fa festa, saltando scuola e lavoro, il cento cinquantenario dell’Unità d’Italia diventa una festa di serie B?
L’Italia unita, frutto del lavoro diplomatico dei Piemontesi e delle gesta di un manipolo di uomini che la Storia racconta come eroiche, ha permesso al nostro attuale Paese di diventare un grande paese occidentale. Più forte verso l’esterno di quanto non lo sia internamente. Più paese che popolo.
Il problema è che il processo di unificazione non è stato compiuto correttamente. E se è vero che la Storia non si può cambiare, se è vero che, di fronte alle spinte secessionistiche a Nord ed a Sud, è lungimirante corroborare un fatto che è di per sé stesso positivo, non si può e non si deve permettere che il cento cinquantenario diventi una festa di serie A. A prescindere. Occorre riflettere criticamente su cosa accadde in quei mesi, in quegli anni immediatamente successivi alla Unificazione. Occorre riflettere, a scuola o al lavoro, durante le manifestazioni legate ai festeggiamenti, attorno al perché i burocrati piemontesi, cui spettò il compito di favorire l’integrazione delle nuove terre e delle nuove genti dentro quella che sarebbe dovuta diventare una nazione unica, maturarono una concezione del Sud come di un luogo malato, malandato e dei meridionali di persone derelitte, corrotte cui, pietosamente, dovevano essere offerti aiuti, sostegno.
A creare il clima per cui i piemontesi si sentivano migliori dei meridionali, a rendere, almeno nelle coscienze di chi l’ha subita, una guerra di liberazione una colonizzazione contribuirono certamente quelle frasi che i leader politici di allora ripetutamente ribadivano alla opinione pubblica neo-italiana. Prendete ad esempio Giovanni Lanza nel 1860, prima di diventare Primo Ministro: «Agli italiani del Nord spetta l’ardua missione di rigenerare socialmente e politicamente gli Italiani del Sud» - oppure sentite il Conte Camillo Benso di Cavour che riferendosi ai meridionali li definisce uomini «corrotti fino al midollo».
Mi si perdonerà una punta di vendicativo sciovinismo se rammento al lettore che proprio negli anni dell’Unificazione ad Agrigento nasceva Luigi Pirandello. Era il 1867. Nel 1934 Pirandello, vissuto in queste terre dove i Piemontesi volevano esportare la civiltà, ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.
Che festa sia dunque. Ma non «esaltazione critica di un patriottismo parolaio» (Giordano Bruno Guerri), bensì momento di riflessione sincera e antistorica se necessario. L'elenco delle letture proposte sul sito dedicato all'evento non fanno però ben sperare.
-------------------------------------------------------------
vAlla fine si fa festag
  

  



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :