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Alla ricerca della perdita del tempo - di Nazzario Giambartolomei

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Quante volte mi sarò sentito dire dai miei genitori: "Non perdere il tempo!" ogni volta che volevo divertirmi. Ho perso il conto. Da quando sono nato ad ora non ho mai smesso di camminare per i campi arati, sterpati, fresati, seminati, incolti... Per un motivo che oramai mi è divenuto chiaro ho sempre avuto la fortuna di s-fruttare il secco o umido terreno naturale. Ricordo che da piccolo mi divertivo a scavare profonde buche nel terreno umido. Giunto al limite delle mie forze, dopo aver scavato per 150 cm, mi infilavo nel mio nuovo utero. Assaporavo così, nella caverna verticale, quel latte di cui vive la svezzata umanità. La pelle sudata del mio corpo era a contatto con quella umida del corpo terrestre. E il lamento di mia madre al ritorno a casa era sempre lo stesso: "Vedi che hai perso il tempo?!" (Per essere corretto devo dire che comunque non ho mai sentito pressioni forti da parte dei miei genitori per i miei modi di divertirmi, così, succedeva spesso ma era una routine che non mi pesava più di tanto). Crescendo, però, verso i quindici anni, fui costretto per motivi di studio e per l'immagine che volevo dare della mia persona, ad abiurare davanti all'inquisizione del pubblico la mia passione per la terra. Continuai ad andare per campi, ma non era più un Passa-Tempo perchè in realtà continuavo a contare i secondi perduti per poi tornare a casa, sui libri delle scuole, con nuovi rimorsi. Ebbene, eccoci all'oggi. Continuo, come detto precedentemente, a camminare per i campi. Continuo a perdere il tempo, direte. Sì, è vero! Lo ammetto. Perdo il tempo, ma non nel senso che, tornando a casa mi sento pieno di rimorsi per non aver lavorato o studiato. Tutto il contrario! Torno a casa felicemente tranquillo come un anziano contadino che ha vangato la terra per il periodico momento della semina. Quando sono a contatto con la terra perdo la cognizione del tempo e quindi della continuità del mio Io. Perdere tempo allora sigifica Vivere quel presente che si lascia fuggire quando abbiamo un senso della temporalità delle cose.

Il noto scrittore e poeta argentino Jorge L. Borges scriveva:

“ Il Tempo è la sostanza di cui sono fatto/ E’ un Fiume in piena che mi trascina ma io sono il Fiume/ E’ una tigre che mi divora ma io sono la tigre/ E’ un Fuoco che mi consuma ma io sono il Fuoco”.

La società contemporanea ci trascina e non ci rendiamo conto che noi siamo la società. Bisogna quindi definire due tipologie di "perdita di tempo": quella non autentica, che si limita ad essere una illusione in quanto si continua a contare il tempo perso che si sarebbe dovuto dedicare al lavoro o allo studio, e quella autentica che ha come risultato uno stato di smarrimento più o meno temporaneo. Non è un caso che per l'ennesima volta, andando in biblioteca, ho registrato la richiesta di prestito con una data sbagliata. La perdita di un Io, ovvero della temporalità dei concetti, è l'esperienza del Kairos greco, ovvero del "tempo di Dio" contrapposto al tempo logico-matematico, Chronos. Si tratta di una distinzione estremamente interessante e probabilmente rilevante per l'essere umano. Nella loro continua ricerca, gli uomini, probabilmente, si dividono in due classi: quelli che vanno alla ricerca del tempo perduto e quelli che vanno alla ricerca della perdita del tempo.

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