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Tornando da mia zia verso casa nostra passavamo dal Poggio e fu qui che, camminando con mio padre, gli domandai del treno. - Babbo, ma come fanno i treni che arrivano alla stazione a ripartire all’indietro?Mio padre, da buon muratore, fino ad allora mi aveva insegnato soltanto come incastrare i mattoncini del Plastic City per la costruzione di blocchi solidi e sicuri, ma adesso moriva dalla voglia di darmi una seconda lezione sulle cose della vita.- Vedi, - mi disse – funziona così!
S’inginocchiò e m’invitò a sedere sull’erba di fronte a lui. Lo guardavo ammirato, era il mio papà ed era il mio Dio. Mia mamma e mia sorella stavano chissà dove mentre io ero lì con lui. E andava bene così.
Raccolse cinque o sei sassi, locomotiva e vagoni, e li dispose in fila sulla stradella in mezzo a noi.
- Il treno arriva trainato dalla sua locomotiva e si ferma qui, dove finisce il binario, sui respingenti. Li hai visti i respingenti alla stazione?
- Sì - dissi, ma non me li ricordavo mica.
- Poi i viaggiatori scendono, mentre il treno sta fermo. Le hai viste le persone scendere?
- Sì, sì le ho viste quelle – dissi, e potete scommetterci che ne avevo viste a bizzeffe.
- E mentre chi è arrivato va via e chi parte sale sui vagoni, alla coda del treno si aggancia un’altra locomotiva che ha fatto manovra in stazione con i binari e gli scambi. Vedi, arriva da dietro.
Non è che compresi bene le parole, ma i gesti di mio padre con la sua mano che accodava un sasso nuovo in fondo al treno dei sassi-vagoni e se li portava via tutti, o quasi, quelli erano chiari.
- E quella? – dissi indicando la pietra rimasta in stazione.- Quella è la vecchia locomotiva, poi andrà a tirare fuori un altro treno.Mi sorrise e si alzò lasciando lì i sassi, composti e allineati in un esemplare convoglio. Ripartimmo, mano nella mano. Fatta una manciata di passi mi girai un attimo, per dare un ultimo sguardo al mio treno. Mi dispiaceva di doverlo lasciare lì.
La prima volta che France è stato in treno l’abbiamo portato da Firenze a Figline, un tragitto breve, una domenica pomeriggio, giusto per il viaggio. Aveva tre anni. Si è accomodato sul suo sedile, mani sui braccioli e sguardo fuori dal finestrino impaziente e concentrato come un grande.- Siamo partiti, siamo partiti! – e ci guarda sgranando gli occhi.
Il treno sì è appena mosso, ma lui è già in estasi.
- Siamo partiti, siamo partiti… - quasi nient’altro per quindici minuti.Ti viene da pensare che ci vuole poco a far felice un bambino.Sulle prime abbiamo cercato di farlo star zitto, affinché non disturbasse, ma poi anche alla luce dei sorrisi degli altri viaggiatori, l’abbiamo lasciato dire.
Io e dolcemetà: due grandiglioni rimbecilliti dall’amore per quel frugoletto ricciolino.
Siamo rientrati con il buio e il viaggio è stato meno carico di emozioni, ma quando siamo scesi in stazione l’ho portato in testa al treno, mi sono accoccolato di fianco a lui e gli ho tenuto una lezione sui respingenti.
Un giorno poco dopo andammo nel bosco alla ricerca di funghi e di bastoni da appuntire. Lasciai la macchina abbastanza lontana dalla nostra meta perché potessimo camminare un po’ con gli zaini zeppi di panini, bevande, bussole e coltellini. Non amiamo allontanarci dalla civiltà per tempi superiori alle due ore senza avere con noi una bella scorta di generi di sopravvivenza.Respirammo l’aria pura dei miei luoghi d’infanzia e passando di fianco al Poggio non potei resistere. C’era una staccionata nuova a delimitazione del campo e scavalcarla fu un gioco. Non mi ricordavo esattamente il posto e non speravo davvero di ritrovare il mio treno di sassi, lì composto sulla stradella. E infatti non c’era, però c’erano i sassi.Mio figlio a ogni modo non mi chiese nulla, ero io che desideravo capitasse.Sentivo il bisogno di annodare questa corda da mio padre a mio figlio e volevo che mi attraversasse.- Lo sai come funzionano i treni?
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