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Allacciate le cinture

Creato il 04 marzo 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

ecco-il-poster-di-allacciate-le-cinture-conOzpetek l’istituzione ci propina sempre la solita minestra

Muovendosi sul terreno del già visto e del già detto, Ozpetek realizza una pellicola che fatica ad appassionare e a farsi emozionante.

2000, Lecce. Elena, fidanzata con Giorgio, conosce la nuova fiamma della sua migliore amica Silvia, Antonio. Inizialmente Elena e Antonio non vanno d’accordo, soprattutto a causa del carattere rude, arrogante e scurrile dell’uomo. Ma l’attrazione tra i due esplode in modo irrazionale e bruciante.

Pur non affrontando la questione omosessuale, soffermandosi sulla nascita di un amore apparentemente impossibile, Ozpetek non convince assolutamente mostrando una ridondanza stilistica che cerca l’empatia, ma non la trova. Difatti Allacciate le cinture (2014) è l’ennesima tappa del regista nell’ostentazione del dolore, della malattia e dei rapporti umani. E, puntando sul cavallo sbagliato (Francesco Arca, neofita del settore e causa di molte risate involontarie), esibisce una storia d’amore nella quale uno sconvolgente evento ridefinisce i rapporti interpersonali. Tuttavia non è la vicenda a provocare più di una perplessità, ma l’approccio con cui il cineasta italo-turco l’affronta. Il suo stile registico si sofferma su silenzi, lunghe inquadrature sofferenti, pianti in primo piano e analisi di coscienza. L’intento pare quello di provocare nello spettatore emozione, ma il risultato finale è molto lontano dall’obiettivo. Allacciate le cinture si trascina stancamente in direzione di una conclusione scontata e consolatrice e non mostra quegli scossoni esistenziali, che il titolo preannuncia. Inoltre il film vive di un disequilibrio interpretativo: Kasia Smutniak e Francesco Arca sono notevolmente insufficienti nella costruzione del rapporto, mentre Filippo Scicchitano (lodevole nel ruolo del giovane omosessuale), Carla Signoris e Elena Sofia Ricci infondono alla pellicola quel pizzico d’ironia necessaria per non sprofondare in una noia imperante, che oscilla tra cure e malate terminali (Paola Minaccioni, patetico cliché del cancro).

Tutto ciò porta all’impressione che Ozpetek si sia perso per strada, che non sia in grado di costruire i rapporti etero con la stessa partecipazione con cui edifica quelli omosessuali e che si affossi sui cliché del cinema di genere (quello drammatico), non riuscendo a dare ampio respiro a una vicenda che si mantiene pericolosamente superficiale.

Nota a margine su un cinema (quello italiano) sempre più sull’orlo dell’oblio: ultimamente le pellicole con ampio budget si rivolgono alla Puglia per ambientare e rappresentare le proprie sceneggiature. La giustificazione? I registi amano la Puglia, hanno sempre sognato di girare nel Salento e sostengono che sia una regione meravigliosa e piena di suggestive cartoline. Tutto ciò è vero, ma il sospetto si insinua nella mente. Sarà perché la Puglia Film Commission offre particolari agevolazioni al cinema italiano? Insomma un po’ di coerenza non guasterebbe.

Uscita al cinema: 6 marzo 2014

Voto: *1/2


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