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L'apertura del film e' impegnativa, con il piano sequenzache giocando sui significati di quello che ci aspetta, avanza rasoterra, e poi si alza per inquadrare i due protagonisti, stretti nel nugolo di persone riparate sotto la pensilina di una stazione. La sorpresa del temporale, indicata dal dettaglio sui passi affannanti di viandanti sorpresi dall'improvviso acquazzone, ed alla ricerca di un possibile ricovero, si sovrappone alla casualità dell'incontro tra Elena ed Antonio, due opposti che si dichiarano tali esasperando i toni della loro discussione, e che pure, finiranno per innamorarsi senza perdere le rispettive discrepanze. Ma non basta, perchè la violenza verbale di quel confronto, sottolinea non solo il carattere indomabile dei contendenti, ma stabilisce uno segno imprescindibile del cinema di Ozpetek che, alla stregua di una tragedia greca, conferisce alla coralità dei personaggi il compito di partecipare in maniera attiva alle vicende dei suoi protagonisti. Come testimoniano le immagini che seguono, con il drappello pronto a parteggiare per uno o per l'altro durante la furiosa querelle
Dopo quell’inizio circoscritto nello spazio e nel tempo, il film si apre repentinamente al paesaggio circostante, attraverso i movimenti di macchina che nel seguire gli spostamenti di Elena, diventano il presagio di un metamorfosi che non tarderà a verificarsi quando la ragazza, promessa sposa di Giorgio, si innamorerà follemente di Antonio, nel frattempo diventato il fidanzato della sua migliore amica. Basterebbe questo per togliere ogni dubbio sulla natura melò di un film come “Allacciate le cinture”, se non fosse che trattandosi di un'opera di Ferzan Ozpetek, l'enfasi drammatica si espande e si moltiplica sulle vita degli altri, con un osmosi che, alla maniera di una famiglia allargata, coinvolge Fabio, l'amico gay con cui Elena metterà in piedi una fiorente attività imprenditoriale, Paola, madre premurosa e discreta, impegnata in un ondivago rapporto con una compagna stranulata ed eccentrica, ed infine Egle, figura esile ma coraggiosa, che a dispetto dello scarso minutaggio che il film le mette a disposizione, si incarica di rappresentare con il suo approccio positivo alle sventure dell’esistenza, il nucleo centrale di una poetica che “Allacciate le cinture” ribadisce in maniera clamorosa, mediante la svolta che ad un certo cambia le prospettive sui sentimenti che la malattia di Elena aveva fin li suscitato.
Un meccanismo drammaturgico che il regista turco conosce alla perfezione, e che però, a differenza di altre occasioni sembra girare con meno ispirazione. A farne le spese è l'empatia di una storia più costruita che sentita, con personaggi e situazioni che mancano di vita propria, ed esistono quasi sempre in funzione di qualcos'altro; e poi la qualità complessiva delle interpretazioni che, in un quadro generale meno blindato del solito, favorisce mestiere ed esperienza. Non si può quindi rimanere sorpresi dallo squilibrio tra la puntualità di attori come, Carla Signoris, Elena Sofia Ricci e Paola Minaccioni e la fragilità dubbiosa di un'atto inventato come Francesco Arca e, in parte, di Kasia Smutniak. Chi sperava in una rilancio dopo le incertezze di "Magnifica presenza" rimarrà deluso.
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