«Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia». (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al 3 Congresso promosso dalla Commissione degli Episcopati della Comunità europea, 24 marzo 2007).
di Riccardo Cascioli
Un Rapporto della UE indica nel rapido invecchiamento della popolazione l’origine profonda della crisi economica, che avrà conseguenze peggiori nei prossimi 20 anni. Se non si affronterà il problema tempestivamente. La crisi finanziaria ed economica dell’Europa occupa ormai da tempo le prime pagine dei giornali e le aperture di TG e GR. Il debito insostenibile della Grecia da mesi fa tremare il resto dell’Unione Europea e la dissoluzione del sistema monetario legato all’euro non è più un’eventualità impossibile, anche per la debolezza di altri paesi, tra cui l’Italia. Del resto, l’evoluzione politica nei “paesi guida” dell’Unione ha indebolito il cancelliere tedesco Angela Merkel sia all’interno – con una grave sconfitta del suo partito nelle elezioni regionali del Nord Reno-Westfalia – sia all’esterno, con la vittoria nelle presidenziali francesi del socialista Francois Hollande, che sulle strategie attuali e future dell’Unione Europea ha idee ben diverse dal suo predecessore Nicholas Sarkozy.
Scenario allarmante
Dunque, una situazione difficile, con un futuro prossimo molto incerto sia economico sia politico, con una situazione debitoria che, nella fase di recessione attuale, appare quasi insormontabile. Eppure, la crisi attuale, il debito che opprime i paesi dell’Unione Europea, appare nulla rispetto a quello che si prepara nei prossimi decenni. E a rivelarlo è un rapporto della Commissione Europea, uscito a metà maggio e passato colpevolmente sotto silenzio dalla stampa, perché rivela molto più della situazione del nostro Continente delle tante discussioni su debito, spread e mercati. Il rapporto si chiama “The 2012 Ageing Report” (Rapporto 2012 sull’invecchiamento della popolazione), che la Commissione Europea ha elaborato per delineare le conseguenze economiche e finanziarie causate dal declino demografico fotografato dall’Eurostat, l’istituto di Statistica europeo. Il rapporto arriva a prevedere scenari demografici fino al 2060, ma non c’è neanche bisogno di guardare troppo lontano per capire che cosa sta accadendo. Nel complesso, gli abitanti della UE non cambieranno di molto – è previsto un lieve aumento fino al 2040, poi una diminuzione che porterà la popolazione del 2060 poco distante da quella attuale – ma intanto cambierà il peso dei singoli paesi: basti pensare che per la Germania, che oggi è il paese più popoloso dell’Unione, è prevista una contrazione di circa 14 milioni di abitanti, che la farà scendere al terzo posto, mentre il Regno Unito è destinato a diventare il paese più popoloso tra i 27 della Ue. Ma non sarà questo il cambiamento più significativo, che invece è quello relativo alla struttura della popolazione, per effetto soprattutto dei bassi tassi di fertilità (1,59 figli per donna nel 2010 che saliranno leggermente a 1,64 nel 2030 e a 1,71 nel 2060) e del miglioramento delle aspettative di vita (che aumenteranno di quasi 8 anni per i maschi e di 6,6 per le femmine: dagli attuali 76,7 e 82,5 rispettivamente si arriverà nel 2060 a 84,6 per i maschi e 89,1 per le femmine). La conseguenza sarà un drastico calo della percentuale di popolazione compresa fra i 15 e i 64 anni – dal 67 al 56% – mentre gli ultra 65enni (che raddoppieranno in termini assoluti) passeranno dal 18 al 30% della popolazione e i maggiori di 80 anni (destinati a triplicarsi) diventeranno il 12% degli europei dall’attuale 5%. L’Italia peraltro anticiperà di ben 20 anni questo processo.
Le conseguenze
Qual è l’impatto economico di questo “terremoto” demografico? Il primo, soprattutto in termini temporali, è l’aumento esponenziale del debito causato dal sistema pensionistico e sanitario. Già nel giro di 20 anni si può facilmente prevedere un peso notevolmente accresciuto delle pensioni sul bilancio degli Stati, ma la cosa peggiore è che sarà sempre più difficile fare fronte a questi costi. Il primo motivo è che è ormai impossibile alzare contributi e tasse al livello che sarebbe necessario per fare fronte ai nuovi costi, perché è una leva che è già stata ampiamente sfruttata: basti pensare all’insostenibile tassazione che subiamo in Italia. Il secondo motivo è che anche la leva della crescita economica – che aumentando la ricchezza prodotta permetterebbe di aumentare il gettito fiscale pur mantenendo la stessa tassazione – appare improbabile se guardiamo alle proiezioni demografiche. L’economia moderna ha infatti come motore della crescita la fascia di popolazione compresa tra i 20 e i 40 anni, quella che più tende ad alimentare i consumi. Ma è proprio questa fascia di popolazione che si assottiglierà più rapidamente nei prossimi anni (Italia, Spagna, Grecia e Germania sono i paesi peggio messi), quindi è davvero difficile poter prevedere un aumento della domanda interna. L’unica possibilità di crescita economica si basa dunque soltanto sull’esportazione, ma qui forse soltanto la Germania ha qualche possibilità di competere sui mercati internazionali. Se questo è il quadro sommario della situazione – decisamente poco ottimistico – si comprende che tutto ciò di cui si sta parlando in questi mesi ha importanza sì, ma relativa. Le reazioni franco-tedesche, privilegiare il rigore piuttosto della crescita o viceversa, continuare con l’euro o tornare alle monete nazionali, sono tutte questioni importanti nel breve periodo, ma sono ancora questioni superficiali se vediamo quali sono i fattori strutturali e profondi della crisi, che vengono da lontano e che avranno effetti enormi sul lungo termine. I cambiamenti demografici, infatti, hanno un processo lentissimo, che va previsto in tempo per poter essere affrontato. Se anche oggi ci fosse una brusca inversione di tendenza e le coppie europee aumentassero significativamente i tassi di fertilità, per vedere i primi effetti positivi bisognerebbe aspettare almeno trenta anni. Ma da decenni ormai siamo talmente bombardati dalla propaganda su un presunto boom demografico che potrebbe distruggere il pianeta, da non esserci accorti che nel frattempo è scoppiata una bomba demografica, ma di segno opposto.
Aveva ragione il Papa
È questo anche l’esempio più evidente che quando Giovanni Paolo II definì quella dominante in Occidente una “cultura della morte” a cui va contrapposta una “cultura della vita”, non si riferiva a categorie meramente spirituali o etiche, ma leggeva in profondità la realtà. La situazione demografica attuale è il frutto di quella “cultura della morte” che ha portato a considerare ogni nascita un danno potenziale per il mondo e per l’umanità: basti pensare che oggi sempre più persone decidono volontariamente di non avere figli in nome della salvezza del pianeta. E se non si sarà forti nel proporre e vivere una vera cultura della vita, l’attuale potere dominante ha già pronta la ricetta per porre rimedio allo squilibrio demografico presente: l’eutanasia.