Si trascorrono dei momenti in cui ci si dimentica di se stessi, o meglio si perde la voglia di impegnare energia per prendersi cura della propria persona…E’ quello che io definisco da sempre “vivere per inerzia”, esistere giorno dopo giorno senza razionalizzare i propri scopi, passioni, idee, semplicemente respiro, batto le palpebre, sorrido, guido, lavoro, uso la calcolatrice, mangio perché è il mio organismo a richiedermelo e le cose devono andare così. Monotonia, routine, gli stessi schemi che si ripetono nella medesima sequenza, la vita del sordo, del cieco, dell’orfano della voglia di vivere; è una roulette russa contro il tempo, in cui il vincitore è però chi riesce a sparare e ad abbandonare per qualche ora questa esistenza sempre uguale.
Negli ultimi mesi mi sono trasformata in una “macchina da fatturato”, macina ricevute, anagrafiche e mail d’assalto, recettiva solo nei confronti della preoccupazione di una fine imminente, della paura di ricominciare da capo, perdendo il terreno guadagnato rinunciando alla mia stessa natura. Ho letto si, molti libri, pagine su pagine che mi tenevano ancorata parzialmente a quella ragazza che sogna tanto di scrivere qualcosa di suo, dimostrando a se stessa di potercela fare contro l’opinione di chi le consigliava uno shampoo al posto della stilo. La mia fortuna sta però nel fatto di possedere un cervello, la capacità di fermarmi davanti ad uno specchio e di analizzare quanto risplende il mio sguardo: è giunta l’ora di riaccendere la scintilla perché un paio di occhi spenti non piacciono a nessuno.
Si torna in pista, e dopo un giro di prova dovrebbe essere un po’ come andare in biciletta, una di quelle cose che non si dimenticano mai, tenendo conto che, in più, qui c’è la passione come motore primario.
Tuttavia, dopo questo sproloquio che un po’ ha della giustificazione di assenza scolastica e un po’ di memento personale, non sarei io non citassi una lettura pertinente al tema della “rivendicazione di piccole donne frustrate crescono”. Un grazie sentito va quindi a Katherine Pancol e alla sua trilogia sul genere femminile, che ha come primo atto “Gli occhi gialli dei coccodrilli” per poi travolgerci con “Il valzer lento delle tartarughe” ed infine “Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì”.
Abbandonando un discorso puramente femminista, la questione qui rimane seria: la vita non è piacevole per nessuno, bianco, nero, donna o uomo, magro, grasso, a pois o a strisce orizzontali, ci sarà sempre qualcosa che dall’alto farà sentire la propria violenta pressione; il trucco sta quindi nell’incassare il colpo, fare un bel respiro e porsi come obiettivo finale se stessi come fonte primaria di felicità e realizzazione.
Nessuno di noi può vivere mangiando Nutella su una mongolfiera insieme ad un unicorno dorato, per cui cosa possiamo fare per trovare un po’ di serenità?
Io sicuramente devo scrivere!
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