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Eppure anche la presenza femminile, nella mia vita, è stata ed è a dir poco fondamentale.
Quante banalità, starete pensando. Beh, la banalità non sempre è priva di autenticità. E la mia recente scoperta, in tal senso, è assolutamente sentita e autentica.
Certo, vi sono tracce di questa presenza anche in questo blog, a cominciare da quella, dolcissima, di mia madre. E, qui e là, vi ho anche accennato di mia sorella, dell’amica storica, della collega, della blogger empatica, dell’isola di Lesbo. Ma è stato un soffermarsi, più che un parlare. Un sussurrare, più che un affermare. Insomma, a parte mia madre, non ho mai trovato il modo di mettere nero su bianco l’importanza che queste donne hanno (e hanno avuto). Non è solo per colpa dell’argomento di questo blog. Ma dipende anche da un fatto caratteriale. Credo di essere, fondamentalmente, un’asociale. Così, mi succede di riservare anche alle mie amicizie femminili lo stesso trattamento che, a volte, ho riservato agli uomini che sono passati nella mia vita. Tendo ad allontanarmi. Ad isolarmi. A rifugiarmi nel comfort (o confort, non ho mai capito la differenza) del mio vivere da sola. Così, mi accade di non fare quella telefonata, anche se avrei tempo. O di farla imponendomelo come un dovere, quasi per ottemperare a una funzione sociale. Oppure mi capita di non rispondere, perché in quel momento non mi va. O sono impegnata in qualcosa di veramente e definitivamente inutile. Sono una pessima amica, non c’è che dire.
Ma la verità è che non mi ci ritrovo nei canoni del contatto troppo stretto, dell’abbraccio, della necessità di riempire un’assenza. Starete pensando che sia un po’ stronza. E, fondamentalmente, è vero. Ma fino a un certo punto.
In verità, io tengo moltissimo a queste persone. E, quando le sento, sono davvero entusiasta di ascoltare le loro notizie. Mi rallegro sul serio per i loro traguardi. E sono sinceramente preoccupata o dispiaciuta per le loro ambasce. Anzi, a volte mi è capitato di non dormire la notte, pensando ai loro problemi invece che ai miei. Sono sempre contenta di incontrale. Quasi emozionata. Il tempo scorre fin troppo in fretta se sono in loro compagnia e se offro il mio aiuto non è mai per pronunciare una frase di circostanza.
La verità (e con questa siamo a tre, come i segreti di Fatima) è che io vivo tutto in una dimensione interiore che mi blocca l’espansività, lo slancio, la cura.
Il mio mondo interiore – mi disse una volta il laureato – è un luogo inaccessibile. Ma – aggiunse – una volta che permetto a qualcuno di entrare, poi non lo lascio più di uscire. Lo interiorizzo, fagocitandolo, per farlo diventare un’altra parte di me.
Come per i miei uomini, anche le mie donne mi appartengono. Dentro di me sono mie, hanno un posto preciso, assegnato che nessuna vicissitudine della vita riuscirà a mutare. Ed è lì che sento la loro presenza, anche quando sono assenti. La loro vicinanza, anche quando sono lontane. Il loro affetto, anche quando non ci parliamo da mesi.
Vorrei poter essere diversa per dimostrare loro quanto ci tengo. Per restituire loro, centuplicato, tutto quello che hanno fatto per me. Per inondarle delle attenzioni che meritano. Per ringraziarle come si dovrebbe e far loro sapere che, in qualche modo contorto, io ci sono per loro. E ci sarò sempre, senza neanche bisogno di chiedere.
Ma sono fatta a mio modo e loro lo sanno. Anche se può darsi che la loro importanza, il loro marchio indelebile nella mia vita, resti inespresso, imprigionato – insieme a me - all’interno di questo mio mondo inquieto. Fatto, per contrappunto, di distacco e attaccamento. Di assenza e presenza. Di lontananza e vicinanza.
Come è accaduto per gli uomini della mia vita. Solo, con un po’ più di senso di colpa...
Alle donne della mia vita. Grazie!Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.
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