Posted 3 dicembre 2012 in Interviste, Kosovo, Slider with 0 Comments
di Stefano Giantin
Magistrato integerrimo, paladina della giustizia internazionale. Indagini su traffici di droga e mafia al fianco di Giovanni Falcone, una carriera da procuratore generale svizzero e per oltre otto anni procuratore capo del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia. Oggi la sua strada conduce in Siria. Ma Carla Del Ponte continua a guardare ai Balcani. Con attenzione e senso critico.
Che ne pensa dell’assoluzione di Haradinaj?
L’inchiesta Haradinaj è stata molto difficile, nessuno ci aiutava. Con grande difficoltà siamo riusciti a raccogliere prove sufficienti per portarlo in giudizio. Durante il primo processo, alla fine del quale per la prima volta era stato assolto – e io non ero già più (procuratore, nda) –, testimoni importantissimi, vuoi per le minacce ricevute o per altri motivi, non sono comparsi o hanno cambiato la loro deposizione. La Corte d’appello aveva notato ciò e chiesto di rifare il processo e di portare le prove. Probabilmente l’ufficio del procuratore non è stato in grado di farlo. E quindi è ovvio che ci sia stata una nuova assoluzione.
Ne è sorpresa?
No. Il caso Haradinaj era iniziato male già dall’inchiesta, perché tutta la comunità internazionale non ci aveva aiutato. Eravamo comunque riusciti a indagare, ma se le prove non si possono portare in aula… .
È stato il sostegno di cui Haradinaj ha sempre goduto nella comunità internazionale ad aver logorato il processo?
La comunità internazionale durante l’inchiesta non ci ha sostenuto nel fare le indagini, abbiamo avuto enormi difficoltà a raccogliere le prove. Al momento di portarle in aula, come del resto era scritto nella sentenza di assoluzione di primo grado, c’è stata intimidazione dei testi. Qui non si tratta della comunità internazionale, ma di Haradinaj che ha lavorato in modo tale che si arrivasse a questo esito. Purtroppo.
Con l’assoluzione di Haradinaj, Gotovina e Markac, cresce la preoccupazione per una totale perdita di fiducia verso il Tpi da parte di Belgrado.
Certo e lo si può anche capire, soprattutto per il caso Gotovina, che per me è inspiegabile. Comprendo le reazioni della Serbia. Ora anche l’assoluzione di Haradinaj può dare l’impressione che a essere condannati siano solo i serbi. Noi però abbiamo messo in stato d’accusa serbi, croati, bosniaci. La responsabilità è di altri, non dell’ufficio del procuratore, che ha lavorato in maniera ottima, indipendente e senza alcuna pressione.
Altri chi?
I giudici e parte della comunità internazionale, che non ha cooperato con la procura durante l’inchiesta.
È più sorpresa dal verdetto Gotovina o Haradinaj?
Per il caso Haradinaj semmai la sorpresa è stata maggiore durante l’inchiesta, nel vedere come nessuno cooperava con noi. Haradinaj era protetto dalla comunità internazionale, che non voleva si indagasse sul caso perché l’Uck aveva collaborato con la Nato durante il conflitto armato e a loro, secondo me, non andava bene che noi investigassimo. Per Gotovina, condannato in prima istanza, le prove c’erano.
Un’ultima domanda. Pensa che la neonata indagine europea sul traffico di organi in Kosovo, in cui sarebbe coinvolta la leadership dell’Uck, possa fare luce sul caso?
Io spero che si faccia chiarezza, aspettiamo. Solo che ho letto proprio ieri che Williamson (capo del team d’indagine, diplomatico e procuratore Usa, nda) ha detto che ci vogliono ancora un paio d’anni per arrivare a un esito. Se è così, vuol dire che non si va da nessuna parte. Ma staremo a vedere.
Pubblicato su Il Piccolo
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Tags: Carla del Ponte, crimini di guerra, Gotovina, Haradinaj, Kosovo, Stefano Giantin, Tribunale dell'Aja, Uck, Uck traffico d'organi Categories: Interviste, Kosovo, Slider