Il turismo genera reddito per la comunità ospitante? Vediamo un caso di studio interessante per l’antropologia del turismo.
Nel 1983 Max Osceola, Clan Pantera, consigliere tribale seminole e importante imprenditore, disse al Miami Herald: “Dieci anni fa noi lottavamo con gli alligatori, facevamo qualche bambola e cantavamo canzoni per i turisti. Siamo passati dall’età della ruota a quella del jet in dieci anni”. Nel 2001 la Tribù Seminole era una corporation di grandi dimensioni, che operava cinque casinò tribali in Florida, deteneva quote di casinò tribali in altri cinque stati, nell’industria agro-pastorale, nell’eco-turismo, e il suo budget superava i 200 milioni di dollari.
I seminole devono molta parte della loro identità al turismo, che iniziò negli anni 1920 insieme allo sviluppo della Florida meridionale. Possiamo dire che questa consapevolezza culturale, orgoglio e fiducia in se stessi promossi dal turismo si sono accoppiati con un’interazione minima con i turisti. Così la mercificazione culturale seminole ha protetto il back stage culturale e la privacy mantenendo i turisti concentrati sul front stage commercializzato. La loro storia di successo, però, è anche un esempio di quello che Bauman (2000) chiama un ‘mondo emergente di liquida modernità’. Infatti, come sostiene Urry (2003), le infrastrutture turistiche sono state costruite in quello che poteva sembrare il posto più improbabile; così, in senso sia letterale che figurato, proveniente dalle paludi della Florida infestate da alligatori e zanzare, da circa due decenni scorre un fiume di soldi.
L’eco-turismo è una di quelle parole troppo usurate dai media, e gli europei ne vanno pazzi in modo particolare, così i funzionari seminole hanno commercializzato l’eco-turismo tribale alle fiere internazionali del turismo, da Berlino a Londra, offrendo ‘paesaggi sensoriali’ (sense-scapes, Rodaway 1994), mentre bus turistici e automobili private scaricano circa due milioni di visitatori l’anno ai due resort Hard Rock e ai cinque casinò tribali. Ai turisti piace ‘l’etnicità ricostruita’ e ‘l’autenticità inscenata’ (MacCannell 1999) al Villaggio Indiano e nei musei tribali, mentre la lotta con l’alligatore è diventata un marker luogo-immagine globale.
Una valutazione dell’impressionante successo economico seminole, che ha generato ricchi dividendi per i membri tribali, non può però nascondere una profonda stratificazione sociale e il fatto che solo pochissimi membri tribali sono impiegati nell’industria del turismo e del gioco d’azzardo.
I seminole servirono da apripista nell’industria dei casinò tribali: la Seminole Tribe of Florida aprì nel dicembre del 1979 una sala bingo ad alta posta nella riserva di Hollywood, Florida e lo stato tentò immediatamente di chiuderla. Dopo una serie di battaglie legali (con gli avvocati tribali pagati dal governo federale), la Corte Suprema degli USA decise nel 1981 a favore dei seminole affermando il loro diritto ad operare la sala bingo e istituendo così un fondamentale precedente legale (Seminole Tribe of Florida v. Butterworth). Nel 1987 la Corte Suprema degli USA nella causa California v. Cabazon Band of Mission Indians, decise che le tribù riconosciute a livello federale possono operare casinò al di fuori della giurisdizione degli stati dato che le tribù sono considerate sovrane dagli USA e il gioco d’azzardo nei casinò non può essere vietato direttamente dagli stati. Era un’ulteriore fase della lotta tra poteri sovrani in cui il potere federale ribadiva il suo speciale rapporto con le tribù come entità sovrane fin dagli inizi del XIX secolo, ma nella pratica le decisioni della Corte Suprema aprirono la strada all’industria dei casinò indiani che muove miliardi di dollari e che, grazie alla legge approvata dal Congresso nel 1988, l’ Indian Gaming Regulatory Act, che stabiliva le regole per operare casinò indiani all’interno di un accordo tra la tribù e lo stato approvato dal Ministro degli Interni USA, portava un notevole guadagno alle casse degli stati tramite percentuali sui guadagni garantite dalle tribù operatrici di casinò, mentre lo stato provvedeva servizi (strade, polizia, ecc.) fuori delle riserve.
Anche se il gioco d’azzardo (e il turismo che vi ruota attorno) è stato chiamato il ‘nuovo bisonte’ degli indiani e ha finanziato gran parte dei servizi sociali tribali, in realtà è simile in qualche modo all’industria petrolifera mediorientale, con i suoi rentier sotto-istruiti, un esercito di personale specializzato non indiano che manda avanti il business vero e proprio, e immigrati Latinos sotto-pagati come ‘classe servile’ (Nash 1989).
La maggior parte dei seminole, infatti, è impiegata nella burocrazia tribale, che è soggetta a uno spietato spoil system, come tutte le riserve. Inoltre, la tribù deve condividere i suoi profitti con gli investitori non indiani, talvolta neppure americani, che hanno fornito il capitale iniziale per aprire, e con le lobby politiche che tengono ben oliati i rapporti con politici locali e nazionali.
I seminole sono stati svelti ad afferrare le opportunità commerciali che il turismo rappresenta, ma l’accesso differente ai profitti cambia i rapporti di potere. I seminole avevano una società tradizionale assai gerarchica divisa in entità note come chiefdoms, e la trasformazione delle comunità autonome in neo-tribù aziendali (Rata 2000) ha favorito quelli che avevano maggiori rapporti con la società americana. Oltre a ciò, come fa notare Boissevain (1996), quelli che hanno un interesse specifico nell’industria del turismo favoriscono un ulteriore sviluppo del turismo a scapito di altre scelte. Questo fatto ha facilitato la frammentazione delle comunità seminole in differenti entità politiche: la Seminole Tribe, la Miccosukee Tribe e la Independent Seminole (Sturtevant and Cattalino 2004).
In conclusione, seguendo Nash (1989), l’industria turistica seminole si è sviluppata grazie alla collaborazione di un grosso numero dei suoi membri a causa della sua apparente non- invasività della privacy, i considerevoli profitti e la compatibilità con i sogni metropolitani, ma è legata alle forze esogene da cui dipende, cioè i centri metropolitani in espansione, e ha creato ulteriori divisioni all’interno della comunità. Questa divisione, però, potrebbe essere più un bene che un male, non solo per via del fatto che ha aumentato le dinamiche comunitarie, concedendo molto più spazio ai giovani e alle donne, ma anche perché ha offerto possibilità di successo economico e politico a elementi della società, come i commoners seminole (non aristocratici), i seminole neri (discendenti degli schiavi africani) ecc. a cui in un contesto tradizionale, dominato esclusivamente da alcune famiglie nobili, non avrebbero mai potuto avere accesso.
Bibliografia
BAUMAN, Z. 2000. Liquid Modernity. Cambridge: Polity.
BOISSEVAIN, J. 1996. Introduction. In J. Boissevain (ed.) Coping with Tourists: European Reactions to Mass Tourism. Oxford: Berghahn.
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KERSEY, H. A. JR. 1992. Seminoles and Miccosukees: A Century in Retrospective. In J. A. Paredes (ed.). Indians of the Southeastern United States in the Late 20th Century. Tuscaloosa: University of Alabama Press.
MACCANNELL, D. 1999 [1976]. The Tourist. A New Theory of the Leisure Class. Berkeley: University of California Press.
NASH, D. 1989 [1977]. Tourism as a Form of Imperialism. In V. L. Smith (ed.) Hosts and Guests: The Anthropology of Tourism. Philadelphia: University of Pennsylvania Press.
RATA, E. 2000. A Political Economy of Neotribal Capitalism. Lanham: Lexington Books.
RODAWAY, P. 1994. Sensuous Geographies. London: Routledge.
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